La
direzione artistica di Ipercorpo è formata da singole personalità con
forte carica autorale, unite in una comune sperimentazione
artistico-progettuale. Questa peculiarità, che rappresenta uno dei
nostri maggiori patrimoni, ha reso possibile il progressivo ampliamento
del festival nelle molteplici discipline e progettualità che oggi lo caratterizzano.
L’emergenza che stiamo vivendo ci ha stimolati a condividere con voi le riflessioni dei nostri curatori sul “tempo reale”, pensieri e parole che ogni quindici giorni si declineranno in base alle diverse sezioni di Ipercorpo e ci guideranno verso la prima parte di Ipercorpo :: Tempo reale.
L’emergenza che stiamo vivendo ci ha stimolati a condividere con voi le riflessioni dei nostri curatori sul “tempo reale”, pensieri e parole che ogni quindici giorni si declineranno in base alle diverse sezioni di Ipercorpo e ci guideranno verso la prima parte di Ipercorpo :: Tempo reale.
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TAKE CARE. Una riflessione di Mara Serina, co-curatrice Sezione Teatro, curatrice Italian Performance Platform e ideatrice Masterclass Scena Europa
In questo periodo sospeso ci si interroga sulle forme possibili che
consentano allo spettacolo dal vivo di andare avanti e di poter essere
rappresentato. Si cercano delle alchimie, si va dalle piattaforme simil
Netflix per seguire online gli spettacoli alle formule drive-in o
bike-in, in cui affidare alle auto o alle bici la garanzia di un
efficace distanziamento sociale. Ma forse, nel cercare a tutti i costi
qualcosa, si finisce per perderlo di vista, per tradirne il senso. Così
ci stiamo dimenticando che lo spettacolo dal vivo è tale perché vive
solo in presenza, nell’incontro reale dell’artista con lo spettatore che
sospende la propria routine quotidiana, si nutre di bellezza, emozioni e
pensieri, per tornare a vivere nel tempo presente con maggiore
consapevolezza. Ci stiamo dimenticando che lo spettacolo dal vivo è
anche una splendida occasione di socialità e di incontro, pensiamo in
particolare ai festival e al loro clima di “comunità festiva” in cui le
persone trascorrono del tempo insieme. Creare occasioni di “sospensione
del quotidiano” per poi inserire mascherine, guanti, distanze,
disinfettanti, ossia elementi che ricordano in ogni istante un
quotidiano ossessionante, è un contro senso e sottopone l’intero sistema
culturale al rischio di un corto circuito. Immaginare misure di
sicurezza senza tener conto del fatto che forse molti spettatori a
queste condizioni e con queste misure non se la sentono di assistere ad
uno spettacolo, mette in campo il rischio di allontanare il pubblico
anziché avvicinarlo.
Concentrare i nostri sforzi per realizzare oggi, ad ogni costo, uno spettacolo, è un po’ come accanirsi a voler far indossare ad una delle sorellastre la scarpetta di Cenerentola.
Mi chiedo se forse, in questo tempo sospeso, dar vita allo spettacolo dal vivo non consista piuttosto in qualcosa di differente rispetto alla messa in scena.
Mi sembra sia il tempo di dire con chiarezza che a queste condizioni lo spettacolo dal vivo non ha senso e non si fa, perché non si può fare.
Mi sembra sia giunto il tempo di “prendersi del tempo” per capire e riflettere sul ruolo essenziale delle arti e della cultura se vogliamo affrontare con intelligenza il presente e costruire con lungimiranza il futuro.
Deve essere una riflessione organica, capace di andare al cuore della questione ma anche al cuore delle persone, soprattutto di chi pensa che la cultura non lo riguardi e che in caso di emergenza i primi tagli da fare sono proprio qui. È il tempo della consapevolezza collettiva su che cosa è “patrimonio”, su che cosa dà senso e riempie davvero le nostre vite al di fuori dei supermercati. È questo il tempo per mettere la politica e l’opinione pubblica di fronte alle responsabilità di sostenere la cultura oggi per poter continuare a farlo domani, quando Cenerentola tornerà ad indossare la sua scarpetta. È il tempo di capire che la cultura è un lavoro, che un artista si sottopone ad un percorso complesso per portare in scena uno spettacolo e così pure un curatore per realizzare un festival. Ciò che vediamo in 60 minuti non è stato realizzato in 60 minuti, non avrà un effetto in noi di soli 60 minuti e non produrrà eco di soli 60 minuti. È questo il tempo per aprire un dialogo, per capire e comunicare le reali necessità di un artista magari a prescindere dai parametri, a volte artificiali, dei bandi per accedere ai finanziamenti. È questo il tempo per capire come rinnovare un sistema in cui un direttore artistico sotto i 35 anni è una vera mosca bianca. È questo il tempo per capire come instaurare un dialogo reale ed efficace con gli spettatori a prescindere dalle tecniche più evolute del marketing. È questo il tempo per capire come un territorio e le sue forze economiche, politiche e sociali possano trovare nei suoi eventi culturali il nucleo della propria identità e dunque la domanda di cultura sia esigenza collettiva e non dei pochi operatori del settore.
Leggere e rileggere il nostro presente da prospettive diverse, soprattutto grazie ai nuovi punti di vista che questo tempo ha generato, è un’occasione unica, serve per dare forma, forza e futuro a ciò che non abbiamo coltivato abbastanza.
Concentrare i nostri sforzi per realizzare oggi, ad ogni costo, uno spettacolo, è un po’ come accanirsi a voler far indossare ad una delle sorellastre la scarpetta di Cenerentola.
Mi chiedo se forse, in questo tempo sospeso, dar vita allo spettacolo dal vivo non consista piuttosto in qualcosa di differente rispetto alla messa in scena.
Mi sembra sia il tempo di dire con chiarezza che a queste condizioni lo spettacolo dal vivo non ha senso e non si fa, perché non si può fare.
Mi sembra sia giunto il tempo di “prendersi del tempo” per capire e riflettere sul ruolo essenziale delle arti e della cultura se vogliamo affrontare con intelligenza il presente e costruire con lungimiranza il futuro.
Deve essere una riflessione organica, capace di andare al cuore della questione ma anche al cuore delle persone, soprattutto di chi pensa che la cultura non lo riguardi e che in caso di emergenza i primi tagli da fare sono proprio qui. È il tempo della consapevolezza collettiva su che cosa è “patrimonio”, su che cosa dà senso e riempie davvero le nostre vite al di fuori dei supermercati. È questo il tempo per mettere la politica e l’opinione pubblica di fronte alle responsabilità di sostenere la cultura oggi per poter continuare a farlo domani, quando Cenerentola tornerà ad indossare la sua scarpetta. È il tempo di capire che la cultura è un lavoro, che un artista si sottopone ad un percorso complesso per portare in scena uno spettacolo e così pure un curatore per realizzare un festival. Ciò che vediamo in 60 minuti non è stato realizzato in 60 minuti, non avrà un effetto in noi di soli 60 minuti e non produrrà eco di soli 60 minuti. È questo il tempo per aprire un dialogo, per capire e comunicare le reali necessità di un artista magari a prescindere dai parametri, a volte artificiali, dei bandi per accedere ai finanziamenti. È questo il tempo per capire come rinnovare un sistema in cui un direttore artistico sotto i 35 anni è una vera mosca bianca. È questo il tempo per capire come instaurare un dialogo reale ed efficace con gli spettatori a prescindere dalle tecniche più evolute del marketing. È questo il tempo per capire come un territorio e le sue forze economiche, politiche e sociali possano trovare nei suoi eventi culturali il nucleo della propria identità e dunque la domanda di cultura sia esigenza collettiva e non dei pochi operatori del settore.
Leggere e rileggere il nostro presente da prospettive diverse, soprattutto grazie ai nuovi punti di vista che questo tempo ha generato, è un’occasione unica, serve per dare forma, forza e futuro a ciò che non abbiamo coltivato abbastanza.
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