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martedì 30 settembre 2025

Pietre vive

 



Cantiere del paesaggio 2025 (foto di Graziano Soravito)

Si è conclusa ad Artegna l’undicesima edizione dei “cantieri del paesaggio”, promossi dall’Ecomuseo in collaborazione con il Comune. Si tratta di una vera e propria scuola (immersiva, la durata è di due settimane) che si propone di tramandare e diffondere conoscenze, abilità e competenze legate alle tecniche di restauro dei muri in pietra a secco, elementi cardine del paesaggio terrazzato che contraddistingue le prealpi friulane. Dal 2015 hanno partecipato ai cantieri – va precisato: gratuiti – oltre 300 persone, un piccolo esercito di “apprendisti artigiani”, formati sul campo da un validissimo “maestro artigiano” (Tommaso Saggiorato) che ha stretto un rapporto continuativo con l’Ecomuseo. I cantieri fanno parte di un programma articolato, che comprende attività di schedatura, incontri pubblici, visite guidate, supporti a studenti per ricerche e tesi di laurea: l’obiettivo è educare ai valori del paesaggio culturale di cui i muri a secco sono la testimonianza.

Nel 2025 si è data continuità al ripristino di un’opera muraria di cui ci si era già occupati in passato, considerato il suo sviluppo (quattro i cantieri precedenti). Si tratta del muro di contenimento che affianca il Troi dal Cret nel settore più elevato del Colle di San Martino: un’operazione strategica che, grazie alla sinergia tra Ecomuseo e Comune, contribuisce a valorizzare lo straordinario contesto storico-archeologico del rilievo. I lavori di recupero del manufatto richiedono tempo e pazienza anche perché, trattandosi di un corso, teoria e pratica devono compensarsi, per questo al tratto finale del muro saranno dedicati i prossimi interventi. Il fatto che nel 2018 l’Unesco abbia inserito l’arte dei muri a secco nel Patrimonio culturale immateriale dell’Umanità, ha legittimato ancor di più i “cantieri”, oramai parte integrante dei programmi dell’Ecomuseo.

«C’è un detto tra coloro che lavorano alla costruzione dei muri a secco: “ogni pietra è buona”, ogni pietra trova prima o poi il suo posto. Nel costruire un muro non c’è spazio per la “cultura dello scarto”: le “pietre che tornano a vivere” (…) sono al tempo stesso “vive” per chi le coltiva, per il microcosmo animale e vegetale che ne abita gli interstizi, per chi posa il suo sguardo dall’esterno come turista o visitatore. Accolgono la modernità non come opposizione ma come integrazione delle trame ereditate dal passato, ripartendo dalle pietre scartate dai costruttori. Sono vive nel presente senza cancellare il passato, e senza impedire di guardare al futuro» (Mauro Varotto, geografo).

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I partecipanti al cantiere (foto di Graziano Soravito)

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