E’ quanto emerso oggi in occasione del III Forum Agrifood Monitor di Nomisma e Crif
Con
un valore superiore ai 3 miliardi di euro, il Regno Unito rappresenta
il quarto mercato per l’export agroalimentare italiano, ma il primo per
Prosecco (4 bottiglie su 10 esportate finiscono in questo paese), pelati
e polpe di pomodoro (20% dell’export a valore). Svalutazione della
sterlina e tutela delle indicazioni geografiche rappresentano le grandi
incognite collegate alla Brexit, alla luce della “sensibilità” delle
nostre esportazioni al tasso di cambio e del fatto che quasi un terzo
delle vendite di food&beverage “Made in Italy” sul mercato
britannico riguardano prodotti Dop/Igp.
Bologna, 28 settembre
– A sei mesi dalla data ufficiale del divorzio del Regno Unito
dall’Unione Europea (29 marzo 2019) e ancora in mancanza di un accordo
sulle modalità di uscita, al III Forum Agrifood Monitor di Nomisma e
Crif si è fatto il punto sul ruolo che questo mercato detiene per il
nostro sistema agroalimentare e sui rischi collegati ai potenziali
effetti della Brexit.
Oltre
all’approfondimento tecnico-scientifico curato da Nomisma, il confronto
è stato alimentato dai contributi sul tema delle tutele giuridiche di
Dop/Igp forniti da Rebecca Halford-Harrison e Claudio Perrella degli
studi legali Keystone Law e LS Lexjus Sinacta, dello stato dell’arte del
negoziato da parte del vice ambasciatore britannico Ken O’Flaherty e
dell’europarlamentare Paolo De Castro, nonché dalle testimonianze di due
importanti Consorzi di Tutela di prodotti per i quali il Regno Unito
rappresenta un mercato fondamentale, vale a dire Prosecco e Parmigiano
Reggiano, nelle persone dei rispettivi direttori Luca Giavi e Riccardo
Deserti.
Con
un valore vicino ai 56 Miliardi di euro, Il Regno Unito rappresenta il
sesto mercato al mondo per import di prodotti agroalimentari e il
secondo per consumi a livello europeo (250 miliardi di euro nel 2017).
Si tratta di un paese dove l’autosufficienza alimentare non supera il
50% e per tale motivo fortemente dipendente dalle importazioni, in
particolare degli (ancora) partner europei, dato che il 70% delle
forniture di prodotti alimentari proviene proprio da questi paesi. In
tale ambito, l’Italia figura come il sesto fornitore, con una quota a
valore vicina al 6% dell’import britannico.
Vista
dall’altra sponda, la Gran Bretagna si configura come il nostro quarto
mercato di export alimentare più importante, dopo Germania, Francia e
Stati Uniti. Un mercato che nell’ultimo decennio ha aumentato i propri
acquisti di prodotti del “Made in Italy” del 43%, ben più di quanto
fatto nei confronti dei nostri concorrenti francesi o olandesi, ma meno
rispetto a quelli spagnoli o tedeschi (+55%). Nei mesi successivi alla
dichiarazione di uscita dall’Ue sancita con il referendum e con un
sterlina svalutata di oltre il 10% rispetto all’euro, i tassi di
crescita delle nostre vendite sul mercato britannico si sono ridotti per
poi riprendersi nei primi sette mesi del 2018, quando l’import di
prodotti alimentari dal nostro paese ha registrato un quasi +3% rispetto
allo stesso periodo dell’anno precedente.
Tuttavia,
se dal dato dell’export agroalimentare complessivo si passa a
considerare quello delle singole produzioni, la rilevanza del Regno
Unito assume ben altri contorni.
“I
casi di prodotti fortemente legati agli acquisti dal Regno Unito sono
numerosi. Basti pensare al Prosecco, per il quale la Gran Bretagna
assorbe circa il 40% di tutto l’export, oppure ai pelati e alle polpe di
pomodoro per le quali l’incidenza di questo mercato arriva al 20%” dichiara Denis Pantini, Responsabile dell’Area Agroalimentare di Nomisma.
Tra
i prodotti che vantano valori di esportazione più contenuti (sotto i
100 milioni di euro in questo mercato) vanno poi segnalati anche le
zuppe pronte e i fagioli in scatoli per i quali UK assorbe circa un
terzo del relativo export. Anche i formaggi grana Dop (Parmigiano
Reggiano e Grana Padano) contano sul Regno Unito per il 9% delle proprie
vendite oltre frontiera. “E parlando di indicazioni geografiche, non
bisogna sottovalutare il fatto che tra vini e prodotti alimentari Dop e
Ipg finisce in Gran Bretagna circa un miliardo di euro del nostro
export “di eccellenze”, vale a dire quasi un terzo dell’intero valore
delle esportazioni italiane di food&beverage in questo mercato”, sottolinea Pantini.
Si
tratta di numeri importanti che invitano a prestare attenzione
all’evolversi nel negoziato in corso tra Ue e Uk, anche perché da come
saranno definiti gli accordi di uscita – e da come questi impatteranno
sulla tenuta del potere di acquisto degli inglesi e sul sistema delle
tutela delle denominazioni di origine - non dipende solo il futuro di
alcuni tra i principali prodotti del food&beverage italiano ma anche
delle economie locali collegate: basti pensare che per tre regioni
italiane (Campania, Veneto e Basilicata), il Regno Unito arriva a pesare
fino al 15% sull’export agroalimentare regionale.
Agrifood Monitor è un’iniziativa congiunta di Nomisma e CRIF www.agrifoodmonitor.com
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