In questo periodo di emergenza
causata dalla pandemia di Covid-19 il mondo della ricerca scientifica ha messo
in relazione il propagarsi del contagio fra la popolazione con il degrado ambientale. La parola inquinamento
porta con sé tutta una serie di problematiche che interessano molto da vicino anche
l’agricoltura industriale ed il sistema degli allevamenti intensivi di animali.
Un quadro inquietante per l’impatto che questo modello di produzione ha oggi sull’intero
pianeta.
La diffusione globale del corona virus, dovrebbe farci riflettere
e fare in modo che, senza indugio, vengano attuati i necessari provvedimenti
per evitare nel prossimo futuro il ripetersi di nuove pandemie. I danni
ambientali che sono stati perpetrarti al pianeta, come l’impoverimento della
biodiversità per favorire la monocoltura, le deforestazioni, il saccheggio
continuo alla nostra “Casa Comune”,
sono azioni negative che non saranno purtroppo prive di effetti.
“Le previsioni catastrofiche ormai non si possono più guardare con
disprezzo e ironia.
Potremmo lasciare alle prossime generazioni troppe macerie, deserti e sporcizia”
Laudato SI - 161
Potremmo lasciare alle prossime generazioni troppe macerie, deserti e sporcizia”
Laudato SI - 161
La produzione “industriale” degli alimenti può nascondere molte
insidie; è dimostrato che una alimentazione equilibrata con l’utilizzo di cibo
qualitativamente elevato, che deriva da una agricoltura
sostenibile senza l’utilizzo di pesticidi, è fonte di salute per il nostro
organismo. Citando lo slogan di Carlo
Petrini, il fondatore di Slow Food, il cibo per tutte le comunità dei
cittadini del mondo dovrebbe essere “buono,
pulito e giusto”.
Come consumatori siamo sempre più
in balia di una marea di informazioni e, come sostiene lo stesso Carlo
Petrini,. la scelta di che cosa
acquistare e consumare in questo mondo dove conta soprattutto il profitto, è il
primo atto politico forte che possiamo compiere nella vita.
Dobbiamo inoltre essere
consapevoli che un altro modo di produrre il vino è possibile. In questi ultimi
tempi molti produttori, tra i quali un nutrito gruppo di giovani vignaioli, hanno
scelto di condurre la vigna con metodi di lavorazione
biologica o secondo i principi della pratica
biodinamica che si ispira al metodo agricolo fondato da Rudolf Steiner
negli anni venti del novecento; mediante l’utilizzo di appositi preparati
naturali, come ad esempio il corno-letame
500 e il corno-silice 501 si
aiutano le piante a ritrovare e conservare il loro equilibrio.
Il “vino naturale”[1]
sta giustamente godendo di un periodo di popolarità, anche perché è in grado di
veicolare un importante messaggio: sa
raccontare una storia che lega gli Uomini alla Terra, alle tradizioni ed alla
vita dei luoghi.
Questi vini richiedono curiosità,
disponibilità ed apertura essendo prodotti non banali né standardizzati.
Saranno il nostro istinto, il nostro gusto a guidarci nella loro scelta. Come
afferma Nicolas Joly, titolare
dell’azienda vinicola Coulèe de Serrant
nella Loira,
“… un vino non deve essere soltanto biodinamico;
deve essere buono e connotato dall’originalità del luogo da cui proviene,
grazie al lavoro di un vitigno bene adattato”.
deve essere buono e connotato dall’originalità del luogo da cui proviene,
grazie al lavoro di un vitigno bene adattato”.
Quando l’avvio di un nuovo
progetto di agricoltura, che comprenda anche la viticoltura, diverrà il nuovo
paradigma, non saremo più costretti a dover scegliere come alimentarci perché
tutti gli alimenti e le bevande, quindi anche il vino, sarebbero il risultato
di una produzione etica e sostenibile.
Può essere un utopia in quanto il mondo economico è ancora legato ai concetti
di una economia globale che incarna il risultato finale del profitto, della
competitività e di una produzione agricola a basso costo, ma dobbiamo impegnarci
perché questo avvenga; dobbiamo ricostruire
l’antico legame uomo-natura, il rapporto di interconnessione che è alla
base della nostra vita sulla Terra.
Nel “Manifesto per un’agricoltura
sostenibile” gli scienziati Lydia e
Claude Bourguignon indicano ai politici le misure urgenti per salvare la
nostra agricoltura: insegnare in tutti gli istituti agrari il funzionamento
biologico dei suoli e degli ecosistemi selvatici; insegnare l’uso
degli ammendamenti (marnaggio e
compostaggio); ripiantare le siepi,
sviluppare l’uso del cippato di ramaglia
e l’agroforestazione; diffondere la semina diretta sotto copertura e, di
conseguenza, la rotazione delle colture; ricreare
filiere e cooperative a dimensione umana, affinché gli agricoltori possano valorizzare e vendere i loro prodotti in
funzione delle rotazioni, ricavando introiti legali alla qualità e non alla
quantità; sviluppare la genetica classica
di miglioramento di piante e animali, ponendo fine alla ricerca
antidemocratica sugli OGM agricoli; sviluppare la lotta biologica, l’uso delle molecole semplici e le tisane
vegetali, nonché l’omeopatia per gli
animali; lavorare sul recupero
differenziato dei rifiuti alimentari; sostituire le fosse settiche con
servizi igienici a secco, e i depuratori con centri di compostaggio aerobico
degli affluenti; fermare la metanizzazione su larga scala; lottare contro la
speculazione e proteggere l’agricoltura europea dalla mondializzazione finché
non avremo ristabilito un’autosufficienza alimentare; creare
una direttiva quadro di protezione dei
suoli.
Nel frattempo noi degustatori
possiamo affidarci ai viticoltori che hanno scelto di produrre in un suolo
fertile, perché lavorato in
maniera etica, un frutto da cui possa nascere un vino sano, digeribile
in grado di rappresentare il territorio
di origine; il risultato di una lavorazione che non prevede il ricorso a prodotti
chimici né in vigna e nemmeno in cantina. La fermentazione si avvarrà
dei soli lieviti indigeni presenti soprattutto nella buccia degli acini ed in
cantina. “Ogni lievito, per microscopico
che sia, interviene nella fermentazione in modo specifico, suonando la propria
partitura, apportando il proprio talento individuale all’armonia dell’insieme,
come ogni singolo musicista in un’orchestra”.
Ogni volta che sarà possibile ci
recheremo nelle loro cantine per conoscere il loro metodo di produzione, la loro
filosofia aziendale. Non dobbiamo comunque ignorare che questo bevanda che
accompagna da sempre l’uomo richiede un suo uso consapevole per fare in modo
che il piacere di un bicchiere di vino divenga l’atto di degustare con il cuore e con l’anima.
Come affermava Beppe Rinaldi, un grande viticoltore
della Langa del Barolo, purtroppo
recentemente scomparso,
“IL GRAN DEGUSTATORE è illuminante e diretto, rapido, a volte fulmineo
– più ci si attarda e più ci si confonde - libero, sobrio per autodisciplina,
carismatico ma dialettico, fastidiato dalla iattanza e dai toni alti,
dalle appropriazioni e dai campanilismi”.
– più ci si attarda e più ci si confonde - libero, sobrio per autodisciplina,
carismatico ma dialettico, fastidiato dalla iattanza e dai toni alti,
dalle appropriazioni e dai campanilismi”.
Antonella Pianca
15/06/2020
Fotografie di Antonella Pianca e
Giovanni Damian ©2018-2019
[1] Il
termine “vino naturale” non ha a
tutt’oggi una valenza giuridica. Non esiste infatti attualmente una normativa
nazionale o comunitaria in quest’ambito.
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