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giovedì 18 novembre 2021

Museo Novecento e Fondazione Monte Verità presentano Monte Verità Back to nature

 a cura di
Chiara Gatti, Nicoletta Mongini e Sergio Risaliti

 

19 novembre 2021 – 10 aprile 2022

 

Museo Novecento Firenze

 

Danze di gruppo, Scuola Rudolf von Laban | Fondazione Monte Verità, Fondo Harald Szeemann

Il Museo Novecento, in collaborazione con la Fondazione Monte Verità (Ascona Canton Ticino), presenta la mostra Monte Verità. Back to nature, dedicata alla celebre collina dell'utopia, ai suoi fondatori e agli ospiti illustri che videro nei suoi spazi sospesi nel tempo un buen retiro lontano dal dramma delle guerre e anche dallo scontro ideologico fra capitalismo e comunismo che stava attraversando l'Europa. Culla di un'esistenza impostata su ritmi primigeni, divenne laboratorio di una nuova cultura, una contro-cultura nata in risposta al conformismo borghese e al pensiero dominante, che attrasse pensatori e anarchici, filosofi, teosofi, letterati, artisti e architetti da ogni paese. Tutti insieme, accolti in una terra baciata dal sole, aderirono al modello di vita comunitaria promosso dal movimento tedesco della “Lebensreform,” (riforma della vita).

 

Curato del direttore del Museo Novecento Sergio Risaliti, con Nicoletta Mongini e Chiara Gatti e organizzata da MUS.E, il progetto ripercorre l'esperienza centenaria di Monte Verità che intreccia destini di intellettuali e maestri del Novecento. Dall'anarchico Bakunin al coreografo ungherese Rudolf von Laban, dal teorico anarco-comunista Pëtr Kropotkin al dadaista Hugo Ball, dalla danzatrice Isadora Duncan al grande scrittore Hermann Hesse; e, ancora, dall'architetto del Bauhaus Walter Gropius agli artisti Hans Arp e Paul Klee, da Carl Gustav Jung fino al curatore Harald Szeemann che, affascinato dalla storia del luogo, gli dedicò nel 1978 una mostra itinerante in Europa dal titolo emblematico “Monte Verità. Le mammelle della verità”.       

 

“Alla metà del XIX secolo, con il successo globale del positivismo e la rivoluzione industriale, il rapporto mitico e favoloso con l’aperto salta. La natura non è più inviolabile, e la madre terra si trasforma in materia senza spirito, in cosa inanimata, tutta a disposizione del progresso e del capitalismo sempre più dilagante” scrive Sergio Risaliti, Direttore del Museo Novecento. “La Ragione domina il mondo e sfocerà nei suoi estremismi in un annientamento di libertà e differenze, generando conflitti disastrosi per la supremazia degli uni sugli altri. Ecco allora che dalla metà dell’ottocento molti artisti ricercano un nuovo contatto primigenio con l’aperto cercando nella natura selvaggia o in civiltà adamitiche quanto si andava perdendo da questa parte del mondo civilizzato. Da qui nacquero comunità utopiche come quella del Monte Verità sulle colline di Ascona, un luogo divenuto mitico nel giro di pochi decenni, la cui aura si sprigiona ancora oggi. Qui trovarono un rifugio spirituale e creativo personalità di primo piano della cultura artistica dei primi decenni del novecento, come Laban e Isadora Duncan, Arp e Klee, assieme a letterati e filosofi come Hesse e Jung. Avanguardie in fuga dall’orrore di due guerre fratricide e poi da una sempre più evidente distruzione dell’armonia tra uomo e natura. Ecco spiegate le ragioni di una mostra dedicata a questa comunità che intreccia sentimenti romantici e anarchia, filosofia della natura e scienza sacra. Oggi che termini come ‘vegetariano’, ‘pacifismo’, ‘sostenibilità’ sono imperativi categorici nell’evoluzione della nostra civiltà, il Monte Verità torna ad essere un riferimento per quanti non si accontentano dell’inerzia politica e del cinismo sempre più disastroso dell’economia globale. Il Museo Novecento con questa mostra ribadisce la sua funzione di laboratorio culturale, sociale e politico, nel solco di una tradizione umanistica che vede l’arte responsabile del cambiamento”.          

Germinata dalle costole del romanticismo e dell'anarchismo ottocenteschi, la vocazione dei coloni rappresenta la prima, vera e larvale reazione storica alle conquiste dannose della modernità: industrializzazione e inurbamento, individualismo e sfruttamento, divari sociali, repressione e militarismo. Sullo sfondo di un caotico sviluppo metropolitano, la perdita improvvisa del rapporto diretto con la natura, aveva prodotto quella lunga letteratura della fuga, resa tragica ed epica dalle pagine di Joseph Conrad e di Jack London, dalla Vita nei boschi di Henry David Thoreau e dai dipinti dei Nabis. La cosiddetta “wilderness” di tradizione americana trovò proprio a Monte Verità un corrispettivo di straordinaria portata, precorritrice di una sensibilità contemporanea, di un ragionamento critico anticipatore delle più recenti tensioni fra capitalismo globalizzato e nazionalismo.        

 

“Portare Monte Verità a Firenze, culla di arte e cultura, è la conferma che questo luogo continua a potersi raccontare per la modernità che lo ha contraddistinto sin dalla sua nascita” commenta Nicoletta Mongini, Responsabile Cultura della Fondazione Monte Verità. “E’ stato un crocevia di idee, di visioni rivoluzionarie e di eccezionali pensatori, primo fra tutti Harald Szeemann, cui questo progetto rende omaggio.”

 

Alimentazione vegana, elioterapia e nudismo, ginnastica, danza e meditazione furono le pratiche quotidiane di una comunità che ha ispirato poi, fra i tanti soggetti, anche la nota pellicola del 2018 di Mario Martone, Capri-Revolution, a testimonianza di un interesse diffuso ancora oggi verso gli episodi radicali delle esperienze anarchiche come utopia sociale, sogno pacifista e libertario reso possibile da una “riforma della vita” che parte proprio dalla rigenerazione del corpo e dello spirito in un luogo, come dirà più tardi Ise Gropius, «dove la nostra fronte sfiora il cielo».

"Nella lunga letteratura della fuga, che ha visto molti autori all'alba della modernità salpare verso geografie lontane e vergini, Monte Verità ha rappresentato per tanti un rifugio ma anche una fonte di ispirazione” commenta Chiara Gatti, storica e critica dell’arte. “Il sogno edenico di un mondo pastorale affonda le radici nel mito del ‘buon selvaggio’ e si mescola con le idee anarchiche diffuse dalla pittura di Paul Signac o Camille Pissarro. Gli artisti, sul Monte, da Segal ad Arp, si sono nutriti della stessa utopia, traghettandola verso forme nuove, che dal naturalismo li ha condotti all'astratto".

 

Il percorso in tre tappe, diviso fra le origini filosofiche del Monte, lo sviluppo della sua architettura e l'arte della danza, affonda nella memoria di questo paradiso remoto, rievocato da oggetti, testimonianze, plastici, fotografie e opere d'arte. Tutto comincia con la valigia originale di cuoio e cartone dei fondatori giunti da nord e dalla “sedia dei vegetariani” fatta di rami intrecciati e usata dall'anarchico Karl Gräser. Esempi di progettazione bio-climatica, in anticipo sulle attuali esperienze di architettonica green, si trovano nelle immagini e nei modelli della “capanne aria-luce”, costruzioni studiate per ospitare i pazienti dell'antico sanatorio in ambienti semplici ma puri e aperti ai benefici del sole. I menù veggy, i depliant pubblicitari, le foto d'epoca delle occupazioni domestiche vanno di pari passo con le mappe che dimostrano la crescita della colonia e poi il passaggio di proprietà. Dopo l'emigrazione dei fondatori, nel 1920, in Spagna e poi in Brasile, la collina fu infatti acquistata dal barone Eduard von der Heydt che commissionò la realizzazione dell'albergo in stile Bauhaus e accolse i maestri stessi della famosa scuola di progettazione di Weimar. Il percorso contempla arredi usati dall'architetto Fahrenkamp per le camere dell'hotel, compresa la Sedia Wassily disegnata da Marcel Breuer che pure abitò sul Monte, oltre a opere di Hans Arp che, insieme a Marianne von Werefkin, Alexej von Jawlensky e Hans Richter, fu fra i primi artisti a respirarne l'atmosfera.

 

Altre immagini, oltre a proiezioni gentilmente messe a disposizione dagli Archivi RSI, suoni e abiti di scena, completano la storia di questo cenacolo multidisciplinare, che trovò nella danza una delle espressioni artistiche più praticate grazie alla scuola che Laban creò in loco, raggiunto da allievo come Mary Wigman, la Duncan o la danzatrice gotico-egizia Charlotte Bara che edificò il suo teatro alle pendici del Monte, affidandone la costruzione a un altro architetto dai modi Bauhaus Carl Weidemeyer. Due preziosi abiti di Charlotte, legati alle sue danze sacre dialogano in mostra con scatti e filmati originali delle lezioni di Laban.

 

La mostra è arricchita da un libro-catalogo dedicato a Monte Verità e alla sua vicende, dalle origini alla mostra di Szeemann, con testi di Sergio Risaliti, Nicoletta Mongini, Chiara Gatti, Luca Scarlini e Riccardo Bernardini oltre a un apparato iconografico che comprende numerose immagini storiche, ricostruzioni, progetti e un regesto di tutte le personalità che, in cent'anni, hanno abitato, popolato, animato, descritto, conosciuto, studiato o anche solo accarezzato quello che il grande architetto Mario Botta ha definito «il laboratorio di una tra le più radicali utopie artistiche e sociali dell’epoca».

 

Nel corso dell’esposizione sono in programma proiezioni di film, conferenze e presentazioni di libri.

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