Verona, 15 aprile 2018 - Consumatori maturi in un mercato ancora per nulla maturo. È la dicotomia che emerge dall’indagine Vinitaly-Nomisma Wine Monitor
realizzata su modelli di consumo, fattori chiave d’acquisto,
preferenze, perception italiana e trend futuri del vino di 3mila
consumatori in 5 Stati (New York, California, Illinois, Minnesota,
Winsconsin) e presentata oggi all’evento inaugurale del 52° Vinitaly.
L’America infatti accelera sui consumi di vino – il 65% lo ha bevuto
almeno una volta nell’ultimo anno - grazie ai suoi millennials (69%), i
giovani compresi tra i 21 e i 35 anni che rappresentano il primo target
tra i consumatori, e le sue metropoli (a New York i wine-addicted sono
il 71%), ma sono ancora enormi i margini di crescita.
«Lo dimostra – ha detto il direttore generale di Veronafiere, Giovanni Mantovani – per
esempio l’analisi sulle regioni emergenti del ‘Mid West’, con il
Minnesota che in 10 anni ha aumentato del 277% le importazioni di vino
made in Italy, o l’Illinois che si è ‘fermato’ a +98%. I due
terzi delle importazioni statunitensi di vino si concentrano in 5 soli
Stati, questo la dice lunga di quanto ancora siano ampi i margini di
penetrazione del nostro mercato in questo grande Paese. A questo
Vinitaly – ha concluso Mantovani – attendiamo oltre 6.000
operatori Usa con un consistente incremento di importatori e
distributori oltre che dalla East e West Coast anche dagli Stati
interni, come Colorado, Kansas, Missouri e Illinois».
E lo si legge anche nelle risposte sui consumi di un mercato gigantesco,
che in buona parte (4 su 10 tra i ‘non user’) non ha mai bevuto vino
italiano perché non lo conosce. Tant’è vero che gli intervistati sulla
nostra brand awareness esprimono un monito e allo stesso tempo una
bocciatura. Da una parte infatti oltre la metà dei consumatori denuncia
un deficit nell’informazione del prodotto made in Italy rispetto a
quelli di altri Paesi; dall’altra consigliano di puntare la
comunicazione non solo verso l’abbinamento cibo-vino (29%) ma anche
sull’Italian style (18%) e sulla narrazione di vino (18%) e territorio
(14%) più che sulla singola azienda (8%). E se i vini italiani sono
associati maggiormente ai sostantivi ‘storia’ e ‘tradizione’, per
momenti di relax ma anche di convivialità, i francesi sono i vini da
bere nelle occasioni speciali, sinonimo di ‘eleganza’ ed ‘esclusività’.
Allo stesso tempo i consumatori statunitensi dimostrano sempre più
familiarità verso un prodotto nel suo complesso che, è bene ricordarlo,
nei ¾ dei casi è di provenienza domestica. Come in una sorta di
omologazione dei consumi, gli user americani, che sono più giovani dei
quelli europei (i millennials Usa rappresentano il 40% dei consumi
contro il 10% dei pari età italiani), si sono evoluti attraverso
modalità di consumo più socievoli e sociali: dal boom di eno-cocktail e
pre-mixati (preferiti da 1/3 del campione) alla tendenza green, ormai la
quarta discriminante nella scelta dell’etichetta nei consumi fuori casa
(11%), dopo ‘brand reputation’, ‘varietale’ e il ‘prezzo basso’. Non a
caso i prodotti bio (25%), assieme ai sostenibili (20%), sono indicati
come i nuovi principali trend di consumo nei prossimi 5 anni da quasi la
metà del campione, in una classifica che vede posizionarsi molto bene
anche la tendenza autoctona (22%). Per il responsabile di Nomisma Wine
Monitor, Denis Pantini: «L’approccio al vino negli
Usa è decisamente meno ‘integralista’ e più innovativo rispetto a quello
del consumatore medio europeo, come dimostra il largo consumo di vino
pre-mixato in bottiglia o cocktail a base di vino: tra questi
primeggiano i cocktail a base di Prosecco (57% dei consumatori di vino
mixato), i Frosé cocktail (42%) e i Bourbon barrel-aged wine (41%)».
Un vino che rimane status symbol ma che sposta il proprio tempio sempre
più nei luoghi di aggregazione giovanile, consumato in occasioni più
friendly, con i wine bar che cresceranno più di tutti (39%) assieme ai
ristoranti ‘casual’, che a detta del campione prenderanno il posto delle
grandi occasioni romantiche e dei ristoranti ‘fine’.
Quanto al made in Italy, rappresentano il 28% i consumatori americani
che hanno consumato vino italiano negli ultimi 12 mesi. Un tasso di
penetrazione che aumenta al diminuire dell’età, coinvolgendo circa un
terzo dei Millennials (34%), ma solo un Baby Boomer (sopra i 55 anni) su
5. Osservando la geografia del tricolore enologico negli Usa, lo stato
di New York è quello che si dimostra più aperto al nostro vino (36%),
bevuto da circa un terzo dei californiani (29%) e ancora solo da un
abitante su 4 nel Mid West (24%).
Paolo De Castro, vice presidente della Commissione agricoltura e Sviluppo rurale del Parlamento europeo ha commentato: «Fra
Stati Uniti e Unione europea passa un terzo del commercio mondiale e
una guerra di dazi fra le due sponde dell'Atlantico non gioverebbe a
nessuna delle due parti; dopo la crisi dovuta all’embargo russo, gli
agricoltori europei non possono rischiare di veder venire meno un
mercato con un volume complessivo di export di quasi 22 miliardi di euro
lo scorso anno, di cui 3,8 miliardi per il solo comparto del vino».
«Gli USA sono il mercato più promettente per il vino italiano è
questo il dato che emerge dall’interessante ricerca Vinitaly-Nomisma.
Gli Stati uniti assorbono già un quarto del nostro export e cresceranno
del 4-5% l’anno nel prossimo quinquennio. I nostri prezzi medi restano
tuttavia ancora bassi, nonostante il 94% dei consumatori ritenga che il
vino italiano abbia una qualità uguale o superiore a quello francese,
tanto che l’88% sarà disposto a pagarlo di più in futuro. Abbiamo quindi
dei chiari margini per migliorare la percezione dei nostri vini. Il
Progetto Vino USA, sviluppato dall’Agenzia ICE, mira proprio a colmare
questa lacuna elevando il posizionamento e la conoscenza del vino Made
in Italy, grazie ad un investimento pubblico senza precedenti. Un
percorso ambizioso reso possibile dall’impegno del Ministero dello
Sviluppo Economico e dal grande gioco di squadra con Federvini, Unione
Italiana Vini, Federdoc ed ovviamente Vinitaly, con cui ICE ha una
partnership consolidata nel tempo, che si rafforza di anno in anno», ha concluso Maurizio Forte, Direttore Ice di New York e Coordinatore della rete Usa.
Consumi negli Usa, 10 numeri in pillole
- Il 65% della popolazione statunitense (21-65 anni) ha consumato vino nell’ultimo anno, il 39% vino mixato
- New
York (71%) e millennials (69%) le incidenze maggiori nei consumi.
Sempre i millennials (48%) californiani (45%) hanno bevuto più vino
mixato
- La birra è ‘divertimento/convivialità’ (28%) e ‘monotonia’ (11%). Il vino ‘relax’ (19%) e ‘status symbol’ (12%)
- ‘Prezzo basso’ (18%) ‘varietale’ (16%) e ‘brand reputation’ (15%) sono in generale i principali criteri di scelta
- Il 28% ha bevuto vino italiano lo scorso anno, il 36% a New York, il 32% in California, il 34% tra i millennials
- Per i wine consumers ‘tradizione’ e ‘relax’ sono i sinonimi del vino italiano, ‘eleganza’ e ‘creatività’ per quello francese
- ‘Non
conosco il vino italiano’ (37%), ‘costa troppo’ (22%) ‘preferisco i
vini americani’ (21%) tra i motivi dei non user (72%) del prodotto made
in italy
- La
‘qualità’ (52%) e la ‘versatilità’ (45%) sono i punti di forza del vino
italiano rispetto ai concorrenti. ‘Promozione/pubblicità’ (51%) e
‘prezzo’ (40%) i punti di debolezza
- L’88% di chi consuma vino italiano è disposto a pagarlo di più (93% i millennials)
- ‘Biologici’
(25%), ‘flavoured’ (23%), ‘autoctoni’ (22%), ‘sostenibili’ (20%),
‘sparkling’ e ‘premium’ (15%) i principali trend a 5 anni. Il packaging
del prossimo futuro è ecosostenibile (46%)
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