A Baku, sede della COP29, i negoziatori di 197 Paesi e dell’Unione europea trattano, tra le altre cose, sulla finanza climatica, cercando un accordo sulle risorse che il Nord del mondo mette a disposizione del Sud per le azioni di mitigazione e di adattamento alla crisi climatica. Mentre in Azerbaijan si cerca di trovare una quadra su chi pagherà quanto, a farne le spese è l’umanità, carnefice e vittima della sua stessa inazione.
La segretaria generale dell'Organizzazione meteorologica mondiale Celeste Saulo, presentando il rapporto dell’organismo Onu nel quale si legge che la temperatura superficiale media sul pianeta, tra gennaio e settembre, è stata di 1,54 gradi sopra ai livelli pre-industriali, ha dichiarato che “le piogge e le alluvioni da record, i cicloni tropicali che si intensificano rapidamente, il caldo mortale, la continua siccità e gli incendi devastanti che abbiamo visto in differenti parti del mondo quest'anno sono sfortunatamente la nostra nuova realtà e un assaggio del nostro futuro".
«Alla COP29 va in onda il paradosso del conflitto d’interesse, a partire dall’intervento del presidente del Paese ospitante che definisce il petrolio un “dono di dio”. Solo nella zona euro, le prime undici banche hanno il 95% dei capitali investiti nel fossile: anche per questo si assiste alla proposta di soluzioni falsate, a cortissimo raggio, che non indagano mai le questioni alla radice» sostiene Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia. «È necessario che il Sud del mondo abbia un ruolo centrale nel processo decisionale e la transizione energetica deve essere popolare e giusta: serve un ripensamento onesto del sistema economico e sociale nel quale siamo immersi globalmente, delle abitudini di vita e di consumo, a cominciare da quello alimentare, perché non potrà essere soltanto l’energia pulita a salvare l’umanità dalla sua ingordigia. Serve cibo più buono, prodotto meglio e in maniera più ecologica: serve l’agroecologia».
Pannelli solari e pale eoliche non garantiranno il futuro alla specie umana, se continueremo a produrre cibo avvelenando la terra, inquinandola di fertilizzanti che non arricchiscono nient’altro che chi li produce. Nessuna centrale idroelettrica, e neppure nucleare di qualsivoglia generazione, salverà l’essere umano dall’estinzione, se il cemento continuerà a coprire il suolo alla velocità (in Italia) di due metri quadrati al secondo, se metà della superficie agricola sarà ancora coltivata per il foraggio destinato ad allevamenti intensivi che inquinano più delle automobili, se i semi delle piante che mangiamo resteranno in mano all’industria che ne detiene i brevetti, come se il cibo fosse un bene privato e non un diritto universale.
Papa Francesco, alla vigilia della COP29, ha chiesto agli agricoltori di "coltivare la terra in modo da custodirne la fertilità anche per le generazioni future". Slow Food Italia, unendosi all’appello del Pontefice, si rivolge all’umanità intera: non aspettiamo che qualcuno cambi ciò che non va più bene. Facciamo noi il primo passo.
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