Dopo l’annus horribilis nel 2020, il 2021 ha mostrato segnali di ripresa per l’economia italiana con effetti positivi anche per il mercato dei soft drinks. Nello specifico, nel 2021 i consumi di bevande analcoliche in Italia sono tornati a crescere, raggiungendo i 28,3 milioni di ettolitri (+8% vs 2020). Sono queste alcune delle evidenze contenute in “I soft drinks in italia: status, nuove sfide & scenari evolutivi per il settore”, il nuovo studio realizzato da Nomisma per ASSOBIBE, l’Associazione Italiana Industrie Bevande Analcoliche, e presentato in occasione dell’Assemblea Generale di ASSOBIBE all’interno di CIBUS 2022.
NEL 2021 IL MERCATO DELLE BEVANDE ANALCOLICHE È TORNATO A CRESCERE
A trainare la risalita del mercato delle bevande analcoliche è stata principalmente la ripresa dell’Horeca (+30% rispetto al 2020) grazie al venir meno delle restrizioni e al ritorno delle occasioni di socialità. Secondo i dati NielsenIQ, nel 2021 sono cresciute anche le vendite di soft drinks in GDO (+1,7% vs 2020 a volume) grazie in primis a bevande piatte, bibite per la mixology e sport/energy drinks. Si sono invece ridotte nel complesso le vendite di bevande gassate (-0,8% vs 2020).
LA RIPRESA DELL’ECONOMIA ITALIANA È MESSA A DURA PROVA DAL CONFLITTO IN UCRAINA E DAI CRESCENTI PREZZI DELLE MATERIE PRIME
Da fine del 2021 si sta assistendo ad una crescita esponenziale dei prezzi delle materie prime energetiche (es. +592% per il gas naturale e +77% per il petrolio a marzo 2022 rispetto a marzo 2021), un forte danno per l’Italia alla luce dell’elevata dipendenza dall’estero per gli approvvigionamenti (in primis dalla Russia). I rincari riguardano anche il food: a marzo 2022 l’Indice dei prezzi alimentari della FAO ha raggiunto i livelli più alti di sempre: 159,3. L’aumento dei costi delle materie prime energetiche e agricole, dei metalli (tra cui l’alluminio), degli input produttivi e dei trasporti unitamente alle difficoltà di approvvigionamento e ai rallentamenti nella logistica stanno mettendo a dura prova l’operatività delle imprese italiane, un fenomeno che coinvolge anche le imprese dell’alimentare e delle bevande e i comparti funzionali al settore (es. packaging e distribuzione).
IL 2022 VEDE DEI SEGNALI DI RALLENTAMENTO PER IL MERCATO DEI SOFT DRINKS
La crescita dei prezzi di beni e servizi sta impattando anche sulle famiglie italiane: secondo l’Osservatorio Packaging del Largo Consumo di Nomisma, 4 italiani su 10 sono preoccupati dell’inflazione tra caro bollette/benzina e aumento dei prezzi di alimenti e altri beni. A causa di tale scenario, i primi mesi del 2022 vedono dei segnali di rallentamento per il mercato dei soft drinks in GDO: nel complesso i volumi venduti calano del 3,6% nel I trimestre 2020 vs 2021, mentre i valori restano pressoché stazionari in virtù di un incremento dei prezzi medi (fonte: NielsenIQ).
QUALE FUTURO PER IL MERCATO DELLE BEVANDE ANALCOLICHE IN ITALIA NEI PROSSIMI 3 ANNI?
Nel prossimo futuro sul mercato italiano dei soft drinks pesano diverse incognite tra incertezza del quadro economico, possibili nuove chiusure per l’Horeca per via del covid e l’entrata in vigore della sugar tax nel 2023. “Sulla base dell’attuale scenario che vede un rallentamento dell’economia, un’inflazione crescente e una frenata dei consumi, per il 2022 si prevede un lieve calo dei consumi di soft drinks (-0,4% vs 2021) e poi una lieve ripresa nel 2023-2024 anche se saremo ancora al di sotto dei livelli pre-covid. La contrazione nel 2022 è destinata ad accentuarsi se si ipotizza una ripresa dei contagi dopo l’estate e nuove restrizioni per il canale Horeca nel periodo ottobre-dicembre, nel 2022 si potrebbe assistere ad una contrazione del 2,3%” dichiara Emanuele Di Faustino, Senior Project Manager di Nomisma che ha curato lo studio per Assobibe. “Con l’introduzione della Sugar Tax i consumi subiranno una forte flessione vista l’elevata sensibilità dei consumatori italiani al fattore prezzo (soprattutto per i consumi domestici): nel complesso, con la Sugar Tax il mercato nel 2023 si dovrebbe contrarre del 12% rispetto al 2022 e di ben il 17% se lo si confronta con lo scenario pre-pandemico (2019)”, conclude Di Faustino.
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