Inaugurazione sabato 14 settembre ore 18.00
Basilica di San Celso
Corso Italia 41, Milano
Ingresso libero
dal lunedì al venerdì 16.00 - 19.00
sabato e domenica 10.00 - 20.00
Nella
Basilica di San Celso a Milano, antico edificio romanico-lombardo, dal
14 al 28 settembre, sarà allestito l’intervento site-specific
dell’artista Marco Tronci Lepagier “Come spine lucenti che ho pianto “ a
cura di Angela Madesani.
Prunus
spinosa è la pianta di cui è fatto il lungo ramo che attraversa la
Basilica di San Celso, luogo consacrato al culto. Una sorta di filo
spinato naturale che Marco Tronci Lepagier ha composto e quindi posto in
questo luogo, in cui il tempo è sospeso.
Il titolo scelto dall’artista per l’unica opera in mostra, Come spine lucenti, è liberamente tratto dai versi di Dylan Thomas, poeta amatissimo. È l’opera che si fa installazione, unica, nello spazio.
La
basilica sarà invasa così dal vuoto del lungo ramo coperto di foglia
d’oro, come in un antico dipinto, sospeso nello spazio. È simile alla
spina Christi, ma non è la stessa pianta.
In
tutto questo si legge una sorta di rimando alla sofferenza
dell’umanità. L’oro è luce, luce di bellezza e di conoscenza come per
l’abate Suger del quale ha scritto lo storico dell’arte Erwin Panofsky.
Nel particolare momento storico che stiamo vivendo, tuttavia, in cui
molti tentano di cancellare la memoria, la conoscenza potrebbe diventare
sofferenza. Siamo in un’epoca di banalizzazione, di velocità
superficiale, che tocca anche la simbologia sacra.
Christus
patiens, Cristo sofferente: la forza della sua diversità non è stata
compresa e dunque osteggiata, sino alla condanna, alla tortura, alla
morte. È la non accettazione dell’altro, di chi è diverso da noi.
Per
Tronci, architetto, il rispetto del luogo è fondamentale. L’opera non
deve invadere, ma dialogare e convivere, senza disturbo alcuno. La linea
di Prunus spinosa è sottilissima e leggerissima ma può anche diventare
barriera. Leggera e respingente al tempo stesso. È un impedimento
spaziale in uno spazio di accoglienza. Il prugnolo selvatico, infatti, è
una pianta antichissima che in passato veniva usata per costruire
barriere, a difesa dei terreni.
L’opera è una lunga linea di luce che può ferire chi oltrepassa il limite.
Si
viene a creare una sorta di fastidio dato proprio dalla bellezza, dal
prunus impeciato di oro. Oro che rimanda alla storia veneziana di Tronci
che in quella città ha vissuto, ha studiato, un oro bizantino, pesante e
leggero al tempo stesso. Contrasto, dramma, attraverso la leggerezza
della natura, hardware e software di calviniana memoria.
Qui
l’opera è messaggio, è aspirazione ad altro attraverso la poesia dei
minimi in cui la natura, solo parzialmente manipolata dall’arte, diviene
eloquente e potente come un macigno.
MARCO TRONCI LEPAGIER
Nato
ad Ascoli Piceno, ha vissuto a Venezia dove si è laureato all'Istituto
Universitario di Architettura. Vive e lavora a Milano. Ha
realizzato numerose mostre site-specific in spazi storici e museali
come i Magazzini del sale e le chiese di San Basso, San Stae e la
Cappella del Volto Santo a Venezia, il Museo Nazionale Villa Pisani a
Stra, Palazzo Collicola a Spoleto, le ex carceri Le Nuove a Torino, il
Museo Civico Villa Paolina Bonaparte a Viareggio, il Palazzo Comunale di
La Maddalena ed il Museo Archeologico di Bergamo.
Nessun commento:
Posta un commento