La mostra NERO Perugino Burri, nata da un’idea della Fondazione Perugia e realizzata in collaborazione con Fondazione Burri, è curata dalla storica dell’arte Vittoria Garibaldi e dal Presidente di Fondazione Burri Bruno Corà, che hanno accolto con entusiasmo la sfida di far interagire le opere di Perugino con quelle di Alberto Burri, due artisti così lontani nel tempo, ma solo apparentemente distanti, e accomunati dal profondo legame verso la loro terra natia, l’Umbria.
La mostra, infatti, composta da circa venti opere, mette in dialogo due tra i più grandi artisti umbri attraverso il comune denominatore del nero: un colore problematico, spesso evitato dagli artisti, ma usato sapientemente da entrambi, che rappresenta una grande innovazione per l’epoca del Perugino ed uno dei tratti più ricorrenti nell’opera di Burri.
“Siamo estremamente felici di essere riusciti a garantire il prolungamento della mostra, un traguardo auspicabile anche per aprirci al mondo della scuola” commentano Cristina Colaiacovo, presidente di Fondazione Perugia, e Bruno Corà, presidente di Fondazione Burri: “La positiva accoglienza del nostro progetto, ambizioso e unico nel suo genere, dà ragione dell’intuizione di far dialogare in maniera inedita due protagonisti dell’arte mondiale, valorizzando entrambi e consentendo ai visitatori di immergersi in un’atmosfera intima ed emozionale, capace di annullare il tempo e far trionfare la bellezza e i colori, a partire dal nero. Sempre nel segno dell’idea, posta alla base del percorso, per cui tutta l’arte ci è contemporanea, perché siamo noi a fruirne”.
L’idea della mostra è nata dall’opera del Perugino la Madonna col Bambino e due cherubini, una pregiata tavola dal sapore intimo e familiare conservata proprio nella collezione permanente di Fondazione Perugia. Il capolavoro ritrae la Vergine con il bambino che si stagliano su uno sfondo completamente nero, permettendo agli incarnati e ai colori delle vesti di risaltare in un modo assolutamente innovativo per l’epoca. Sono questi gli anni più belli del percorso del maestro, quando, attivo a Firenze, conosce e assorbe la pittura fiamminga e la luce di Leonardo, ma è anche coinvolto dall’atmosfera di Venezia dove si reca più volte nel corso degli anni Novanta.
Da qui la volontà di indagare l’uso dello sfondo nero in alcune opere del Perugino, tutte di piccolo formato e datate a cavallo tra il XV e il XVI secolo, dove non c’è nessun paesaggio ideale o preso in prestito da una suggestione visiva, nessuna architettura prospettica, solo il profondo nero su cui si stagliano i protagonisti della scena, come mai si era visto prima. Questa ricerca ha permesso di ottenere importanti prestiti, come lo splendido Ritratto di Francesco delle Opere, probabilmente dipinto a Venezia, e il Ritratto di giovinetto, provenienti dalla Galleria degli Uffizi, e ancora la Madonna con Bambino tra San Giovanni e Santa Caterina del Museo del Louvre. E da ultimo è arrivata in mostra anche la Santa Maria Maddalena della Galleria Palatina, uno dei capolavori della pittura da cavalletto di Perugino in cui risulta più vicino alle atmosfere leonardesche.
In dialogo con le tavole di Perugino ci sono una decina di opere di Alberto Burri, in cui si può ritrovare il medesimo interesse per il nero inteso sempre non come mancanza di colore, ma come buio che permette alla luce di emergere. Burri è stato un grande ammiratore e conoscitore dell’arte italiana del Rinascimento, come racconta la curatrice Vittoria Garibaldi: “Ho avuto l’onore di conoscere, ma soprattutto di frequentare Alberto Burri negli anni Ottanta. Era solito ripercorrere le vie del Rinascimento dell’Italia centrale insieme ai suoi più cari amici come Nemo Sarteanesi. È questo un dialogo dalle radici lontane e che trova conferma nelle linee, nelle forme e nelle sensibilità cromatiche che uniscono i due grandi artisti”. In particolare l’Umbria, terra amata, animata da Piero della Francesca, da Raffaello e ovviamente da Perugino, ha lasciato radici indissolubili in Burri che si rivelano e trovano conferma nelle forme, nei colori e nelle composizioni delle sue opere, da Catrame del 1949 e Nero Cellotex del 1968. Qui la materia emerge prepotente dalla tela e l’attenzione è posta tutta sull’equilibrio tra forma e colore, con una predilezione per il nero e lo scuro, tratto diventato emblematico dell’artista tanto da essere soprannominato “il maestro dei neri”. Le opere di Burri così possono essere considerate una ideale dialettica proposizione con le tavole del Perugino: se nel Quattrocento il fondo nero serviva a far risaltare il soggetto principale dell’opera, in Burri il nero è protagonista e diventa materia viva che si espande ed emerge.
Per l’occasione è stato effettuato un totale restyling del piano nobile di Palazzo Baldeschi, creando un'atmosfera immersiva e un suggestivo gioco di luci, in un percorso emotivamente coinvolgente.
A corredo della mostra è presente il catalogo curato da Vittoria Garibaldi e Bruno Corà, edito da Fabrizio Fabbri Editore.
Il progetto grafico dell'allestimento della mostra è a cura di Giuseppe Trivellini.
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