La “liberaldemocrazia” è un’elaborazione teorico-politica di alcuni pensatori liberali e progressisti dell’Ottocento particolarmente attenti all’incontro dell’ideale della libertà con quello della democrazia e all’esigenza dell’allargamento della giustizia sociale. Liberalismo e democrazia formano un insieme interdipendente e sono basati su differenti principi e istituzioni. La democrazia si riferisce al governo del popolo, che si concretizza in periodiche elezioni multipartitiche libere ed eque, basate sul suffragio universale. Il liberalismo si riferisce allo Stato di diritto, un sistema di regole formali che limitano i poteri dell’esecutivo, anche se quell’esecutivo viene democraticamente legittimato tramite un’elezione. Le istituzioni liberali proteggono il processo democratico ponendo limiti al potere esecutivo; qualora venissero erose, è la democrazia stessa a finire sotto attacco. I risultati elettorali possono poi essere manipolati con l’alterazione dei distretti elettorali o delle regole di ammissione dei votanti, o con false accuse di frode elettorale.
Bendetto Croce, nel 1932, in un momento buio per il nostro Paese, affermò che “L’ideale democratico si innesta su quello liberale. Ciò implica il riconoscimento di snodi interni alla macchina dello Stato, snodi diretti a salvaguardare i diritti e le libertà, contro l’atteggiamento assolutistico del potere assoluto”. I leader sovranisti e populisti non hanno mai amato i sistemi di controllo e i contrappesi che, in una moderna democrazia liberale, limitano il potere dell’esecutivo. Ne sono la dimostrazione le notizie spazzatura e le teorie del complotto, volte a denigrare le Istituzioni, che inondano la piazza pubblica in occasione dei rilievi che una qualsiasi autorità indipendente, nello svolgimento del proprio ruolo, formula al Governo del Paese.
Vediamo alcuni esempi. In occasione dell’audizione alla Camera, Banca d’Italia ha sollevato critiche ad alcune delle misure contenute nella manovra di bilancio. La retorica populista di Giovanbattista Fazzolari, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, braccio destro della premier nonché responsabile del programma di Fratelli d’Italia, non si è fatta attendere. A suo parere, essendo Bankitalia “…partecipata da banche private”, evidentemente “reputa più opportuno che i cittadini si avvalgano di una moneta privata del circuito bancario”. Non è la prima volta che la narrazione populista fondi sull’inganno il proprio racconto. Infatti, già in diverse circostanze le forze populiste hanno affermato che Banca d’Italia, nell’ambito delle politiche liberiste, è stata privatizzata a beneficio degli interessi della finanza privata. In realtà, come si legge anche dal sito della stessa Istituzione, “Banca d’Italia è la Banca Centrale della Repubblica italiana; è un istituto di diritto pubblico, regolato da norme nazionali ed europee”. Per ragioni storiche che risalgono agli anni Trenta del secolo scorso, le quote del capitale sono detenute al 95% da banche e assicurazioni private, ma la governance e la quota di partecipazione agli utili neutralizzano l’interesse privato. Infatti, il diritto dell’assemblea dei partecipanti è quello di nominare il Consiglio superiore della banca, il quale ha compiti di amministrazione e vigilanza interna alla stessa e di nominare, su proposta del Governatore, il direttore generale e i vicedirettori generali di Banca d’Italia, che sono membri del direttorio. Il Governatore, che sceglie gli altri membri del direttorio, è nominato dal Presidente della Repubblica su proposta del Presidente del Consiglio, sentito il parere del Consiglio superiore della banca. Per quanto riguarda i profitti, l’art. 38 dello Statuto prevede che l’utile netto sia destinato fino a un massimo del 20% a riserva legale, fino a un massimo del 20% a riserva straordinaria o a fondi speciali, fino a un massimo del 6% ai partecipanti (le Banche Private), e che il resto vada allo Stato. A distanza di qualche settimana, anche il Ministro Crosetto è intervenuto giudicando inopportuna la politica monetaria adottata dalla Banca Centrale Europea. Evidentemente gli sfugge che la BCE debba operare in assoluta autonomia rispetto alle esigenze dei singoli Stati, così come sancito dall’art. 130 del TFUE, come del resto gli sfugge che l’art. 127 dello stesso trattato fissa come obiettivo principale del Sistema europeo di banche centrali (SEBC) la stabilità dei prezzi. Fatto salvo l'obiettivo della stabilità dei prezzi, il SEBC sostiene le politiche economiche generali nell'Unione al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi dell'Unione definiti nell'articolo 3 del trattato sull'Unione europea. Ma quali sono le reali ragioni della polemica del Ministro? In un Paese con i fondamentali Macroeconomici in ordine, se il differenziale fra il tasso di crescita del PIL e il costo medio del debito è positivo, il debito tende a ridursi. L’alternativa è quella di sottrarre risorse dal ciclo economico per permettere un alto avanzo primario (differenza fra entrate e uscite al netto della spesa per interessi), ma non può essere continuamente protratta perché se da un lato paga politicamente nel breve periodo, dall’altro non permette di avviare un percorso di crescita. Che i tassi d’interesse dovessero risalire da livelli sia nominali che reali negativi, era inevitabile, come è inevitabile che la politica monetaria persegua la stabilità dei prezzi in presenza di un tasso di inflazione elevato. Infatti, dato che i prezzi che crescono di più sono quelli dei beni di cui non si può fare a meno, l’inflazione agisce come un Robin Hood al contrario che toglie molto di più ai poveri che ai ricchi. È evidente che le reali ragioni dell’invettiva del Ministro sono solo quelle di spostare l’attenzione e attribuire ad altri la responsabilità circa la mancata adozione delle promesse elettorali.
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