I dati sulle abitudini alimentari sono allarmanti. Solo il 6-8% degli italiani prepara settimanalmente pane e pasta fresca, mentre due su tre chiedono più servizi di delivery nel territorio. | |
Domani sera, mercoledì 10 dicembre, a Nuova Delhi si terrà la riunione del comitato intergovernativo dell’ Unesco che deciderà l’esito della candidatura della cucina italiana come patrimonio immateriale dell’umanità. Tutte le premesse sono favorevoli e l’auspicabile “buon esito” arriva in un momento cruciale per “alimentare” la diffusione della cultura della nostra cucina. I dati più recenti, infatti, mostrano che le pratiche domestiche che per decenni hanno costituito l’ossatura culturale del nostro Paese stanno cambiando rapidamente. Ad affermarlo è Roberta Garibaldi, componente del Comitato scientifico – presieduto dal prof. Massimo Montanari e promosso da La Cucina Italiana e dal suo direttore Maddalena Fossati con Fondazione Casa Artusi e Accademia Italiana della Cucina – che ha preparato il dossier per la candidatura a patrimonio Unesco. “Nonostante oltre metà degli italiani dichiari di cucinare spesso ricette tipiche del territorio o della famiglia, la frequenza con cui vengono preparati piatti tradizionali si sta riducendo in modo significativo”, evidenzia Garibaldi, presidente di Aite-Associazione Italiana Turismo Enogastronomico e autrice da nove anni del Rapporto sul turismo enogastronomico. “È quindi urgente rafforzare l’educazione alimentare e la trasmissione culturale alle nuove generazioni, perché i dati evidenziati nel rapporto 'La cucina italiana: evoluzione degli acquisti, cambiamento dei consumi e nuovi modelli di socialità' mettono in luce trasformazioni profonde e accelerate, che richiedono una riflessione sistemica sulle modalità con cui il patrimonio culinario viene trasmesso e praticato”. I risultati dell’indagine evidenziano infatti un indebolimento delle abitudini culinarie tradizionali.
Intanto, si avvicinano le festività e si torna maggiormente a cucinare, con pratiche culinarie legate all'identità e alla tradizione che rimangono sostanzialmente stabili nel tempo: resta centrale per il 56% degli intervistati la preparazione di ricette tipiche del luogo, accanto alla realizzazione di ricette tramandate dalla famiglia (56%) e di piatti tipici per i propri ospiti (49%). In questo scenario, aumenta la propensione a soluzioni rapide, come i piatti pronti o il food delivery. E l’analisi per età rivela tendenze precise:
Accanto alle differenze generazionali emergono nette differenze geografiche. Nel Sud e nelle Isole la prossimità resta centrale: 50% acquista nei mercati contadini (media 37%) e 48% nelle botteghe tradizionali (media 34%), con il valore più alto anche per il commercio equo (32%). Nord Ovest e Nord Est mostrano invece una minore prossimità e una maggiore propensione al delivery (fino al 17% per spesa e piatti pronti). Il Centro si colloca su livelli intermedi. Nel complesso emerge un Mezzogiorno radicato nei canali tradizionali e un Nord più orientato a soluzioni digitali. Il quadro indica una progressiva diaspora culturale: la cucina italiana rimane amata, ma è meno praticata, soprattutto nelle generazioni più giovani, dove si afferma un nuovo paradigma alimentare alternato tra prodotti pronti, delivery e preparazioni domestiche semplificate.
- Introdurre stabilmente l’educazione alimentare nelle scuole. La scuola può diventare il nuovo spazio di trasmissione culturale, dove i giovani apprendono: a) tecniche di cucina di base; b) ricette tradizionali; c) valori legati alla sostenibilità e alla stagionalità; d) storia dei prodotti e dei territori. È un investimento culturale necessario per garantire continuità al patrimonio gastronomico italiano. - Portare le ricette e i saperi tradizionali nei linguaggi dei giovani. I loro canali preferiti – TikTok, Instagram, YouTube – sono oggi il luogo dove si formano gusti, stili alimentari e identità culturali. Per questo, serve una strategia di comunicazione nazionale che: a) parli ai giovani con format brevi, creativi e coinvolgenti; b) valorizzi ricette, tecniche e prodotti italiani con contenuti autentici e narrativi; c) utilizzi creator e storyteller capaci di connettere la tradizione con il linguaggio contemporaneo. La trasmissione del patrimonio non può limitarsi ai luoghi tradizionali della cultura: deve abitare i luoghi digitali dove vive la nuova generazione. È inoltre importante creare una media room ed un ufficio stampa internazionale dedicato alla cucina italiana per accompagnare il risultato auspicato e le diverse iniziative di promozione internazionale attive, amplificandone la portata. In conclusione, afferma Roberta Garibaldi: “La candidatura della cucina italiana a patrimonio immateriale dell’umanità rappresenta un’occasione storica per riconoscerne il valore non solo culinario ma anche sociale, simbolico ed educativo. Per questo è urgente attivare una strategia nazionale che unisca educazione, comunicazione e coinvolgimento culturale, trasformando scuole e social media nei nuovi custodi della cucina italiana. Solo così la candidatura Unesco potrà tradursi in un reale processo di tutela e rigenerazione del nostro patrimonio gastronomico. Aspettiamo dunque l’esito del comitato intergovernativo di Nuova Delhi come riconoscimento di uno straordinario lavoro corale e come punto di partenza per un percorso culturale impegnativo ma necessario. Da parte mia, un ringraziamento speciale a Maddalena Fossati per aver dato avvio al progetto e per avermi coinvolto nel comitato scientifico che ha realizzato il dossier per la candidatura”. | |
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