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martedì 2 febbraio 2021

Cardo Avorio di Isola d’Asti

 





Se citate i cardi ad un vero piemontese quasi certamente vi sentirete menzionare l’abbinamento con la celebre bagna càuda. In effetti è più che tipico gustare la deliziosa bagna intingendovi svariate verdure sia crude che bollite e i cardi rappresentano uno di questi ingredienti: si usano freschi tagliati a pezzi. In realtà l’ortaggio in questione è molto più versatile in cucina di quanto si possa pensare. Conosciuto da secoli il cardo appartiene alla famiglia delle Asteraceae e se ne possono trovare di svariate tipologie. Cardo Gobbo del Monferrato, gigante inerme, Mariano, di Chieri, di Bologna, selvatico, gigante di Romagna, Bianco Avorio di Andezeno e anche il cardo Avorio di Isola d’Asti.

Quest’ultimo ho avuto il piacere di incontrarlo di recente da vicino in località Motta di Costigliole d’Asti presso una delle aziende agricole che lo produce; l’ho fatto in questo periodo perché se c’è un prodotto autunnale e invernale è proprio il cardo: nel mio caso cardo Avorio. Il cardo Avorio si semina nel mese di maggio, in genere ogni azienda ha il suo seme personalizzato, e lo si raccoglie dalla fine di settembre fino alla fine di gennaio.

Viene seminato in pieno campo rispettando una distanza di circa 90x25 cm in modo scalare affinché si possa avere un prodotto destinato ad una vendita lunga nel tempo. Lo si raccoglie a mano estirpando la pianta ed eliminando la parte terminale delle foglie. Sono piante che possono arrivare ad un’altezza di 120 cm ed hanno delle peculiarità che si differenziano rispetto ad altre tipologie di cardo. Per esempio al palato risulta più dolce.

Le piante che gli agricoltori utilizzando per la produzione del seme vengono coltivate in ambienti isolati e mantenute in produzione anche per 15 anni. Per avere un cardo bianco, o meglio Avorio, e dolce gli agricoltori tendono a coprire le piante con dei teli neri in modo tale che non prendano luce interrompendo così la fotosintesi, mentre i terreni dell’areale di Isola d’Asti sono decisamente alluvionali e la loro valenza per il prodotto è indubbiamente importante.

Il cardo arrivò in Europa grazie agli scambi commerciali con il nord Africa, principalmente con l’Egitto, operati dai Greci e dai Romani e pur essendo una pianta amante del caldo si è più che ambientata al nostro freddo invernale. A quei tempi con molta probabilità era ben voluto non tanto come ingrediente culinario ma per i suoi benefici poteri curativi.

In effetti i cardi sono composti principalmente di acqua e fibre ma sono altrettanto ricchi di potassio, calcio, sodio, fosforo elementi fondamentali. Il cardo, come il carciofo, appartiene al genere Cynara e, pur ricordando come forma il sedano, contiene la Cinarina una sostanza che conferisce un gusto amarognolo, come per il carciofo, ma addolcito in questo caso dalla mancanza della fotosintesi.

Una simpatica curiosità legata al cardo abbraccia i cardellini. Questi simpatici e canterini uccellini sono ghiottissimi di semi di cardo al punto che, quando i romani se ne accorsero, li battezzarono Cardueles, in italiano cardellini. C’è poi la storia dei cardatori di lana, ovvero coloro che un tempo cardavano la lana sulle spine dei germogli dei cardi; chiamati anche battilana hanno come patrono San Biagio. In realtà di storie e leggende legate al nostro principe degli ortaggi invernali ce ne sono tante e non solo di casa nostra, io però continuo a raccontarvi la mia e il mio incontro con l’Avorio.

A Motta, con un tiepido sole e una temperatura decisamente invernale di buon ora al mattino ho seguito le fasi della raccolta, del taglio delle foglie superflue e del confezionamento per i mercati. Poi incuriosito dalla visione delle bianche piante ho pensato di gustarlo direttamente in cucina. E allora riprendo il concetto che stiamo parlando di un ortaggio versatile che ben si presta a svariate interpretazioni ai fornelli.

Pellegrino Artusi nel suo famoso manuale ”La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene” datato 1891 menziona alcune ricette con i cardi come: i cardoni in teglia, in umido, in gratella e con la balsamella (una béchamel dei Francesi ma leggermente più facile da preparare).

Arrivando ai giorni nostri non possiamo non citare il flan di cardi, la crostata di cardi o il cardone beneventano e i tre piatti che mi ha preparato Giovanna Soligo cuoca contadina dell’agriturismo Cascina San Nazario di Montechiaro d’Asti. E’ doveroso da parte mia evidenziare che per i motivi legati al Covid l’agriturismo nel momento in cui l’ho raggiunto per documentare le ricette – per scriverne e parlarne in TV come richiede il mio lavoro - era chiuso come da disposizioni di legge. Giovanna ha dunque cucinato esclusivamente per motivi giornalistici e non lavorativi, rispettando tutte le normative sanitarie.

Tre ricette sfiziose e prelibate. Cardi cucinati con passata di pomodoro e uova strapazzate nello stesso tegame, adagiati poi su fette di polenta preparata con il grano Marano. Ottima soluzione come antipasto o per l’aperitivo. A ruota dei Subric di cardi e patate. Si preparano facendo bollire sia i cardi che le patate poi si schiacciano entrambe e si miscelano aggiungendo all’impasto un uovo e del formaggi grattato. Si formano con due cucchiai i Subric li si passa nel pangrattato e li si frigge velocemente nell’olio d’oliva. Subric è un termine piemontese che indica una sorta di crocchetta.

Infine i cardi cotti con la passata di pomodoro e la salsiccia di maiale. Tre piatti piacevoli decisamente stagionali da gustare quando fa freddo e da accompagnare con del buon vino della zona: Barbera ovviamente.

Questo il mio recente incontro con il cardo Avorio di Isola d’Asti, un prodotto della terra semplice e genuino, che non richiede trattamenti particolari per la sua coltivazione, che si utilizza per più ricette, salutare e rispettoso dell’ambiente. Un buon incontro!

 

 

                                                                                                                                              Fabrizio Salce


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