In occasione del terzo anniversario della scomparsa del Maestro dei cuochi italiani, una selezione del meglio che su di lui si trova online e che ci aiuta a ricostruire la sua personalità e la sua carriera
Gualtiero Marchesi è stato il fondatore della cucina italiana così come la conosciamo oggi. Ha colto l’essenza della cucina francese e l’ha trasferita nel nostro Paese, rinnovando quello che fino ad allora era un territorio di grandissime materie prime, di ricette di tradizione ma non certo di grande cucina professionale.
Ha dato al cuoco una notorietà e una professionalità che prima questa figura non aveva mai avuto, ha permesso alla cucina italiana di definirsi, di comprendere la sua essenza e di elevarsi al rango delle più quotate a livello internazionale.
Un riferimento assoluto, dunque, e un grande Maestro: alla sua scuola sono cresciute intere generazioni di cuochi, che hanno contribuito a migliorare il livello della gastronomia nostrana e hanno aperto nuovi scenari, cogliendo il suo primo insegnamento, quello di essere sempre curiosi.
Ha avuto una vita avventurosa e vivace, inarrestabile in cucina e nelle relazioni, ha cucinato e discusso con i più importanti artisti del suo tempo sposando oltre ai fornelli, la cultura.
In occasione del terzo anniversario dalla sua scomparsa, abbiamo raccolto alcune delle sue tracce virtuali, seguendo la sua storia attraverso le tante testimonianze sue e di chi l’ha conosciuto e ha avuto il privilegio di lavorare con lui.
Forse la storia che lo racconta meglio è quella descritta sulle pagine del Cucchiaio d’Argento. Ricca e dettagliata, è il primo passo per conoscere il Maestro della cucina italiana moderna.
Ma se vogliamo ritrovare le sue parole e la sua calma fermezza, l’intervista a Sottovoce, a 83 anni, subito dopo aver lasciato Erbusco ed essere tornato a Milano è senz’altro un pezzo di storia che vale la pena rivedere. Ci sono moltissime delle sue citazioni, quelle che ripeteva a memoria stupendo gli interlocutori con una memoria di ferro. E anche una bellissima risposta sulle donne che cucinano. Perché sono così poche, chiede Marzullo. E Marchesi risponde sorridendo: «Perché sono le più brave, e le tengono nascoste. Io vado sempre in trattoria, e se vedo una donna in cucina sto più tranquillo. La donna cucina più col cuore».
La sua eredità è nelle cucine di innumerevoli cuochi, stellati e non, che costellano il panorama enogastronomico italiano. E che proprio l’anno scorso hanno raccontato a Linkiesta qual è il più grande insegnamento, l’eredità personale che ha lasciato loro il signor Marchesi.
Ma tantissime sono le testimonianze che si scoprono online e che ci aiutano a delineare i contorni di una figura determinante per tutto quello che è venuto dopo di lui.
Per chi vuole ripercorrere la sua strada e imparare le basi della sua cucina, c’è l’istituto di cui è stato rettore, a Colorno: Alma. La scuola che lui tanto amava e di cui si sentiva sia madre e anche padre: la fondazione della scuola, nelle sue parole, «Non so se è stato più un parto o una paternità».
Di sicuro il suo piatto simbolo è per tutti il riso e oro, e qui lo abbiamo trovato preparato da lui.
Era il 1981. Procedure che viste adesso sono all’ordine del giorno, in quegli anni erano avanguardia pura. Come quel tocco di foglia d’oro alla fine: vedergli fare quel gesto era pura magia, anche a distanza di quarant’anni da quella invenzione che rese il piatto un capolavoro.
Per scoprire il suo attaccamento ai giovani e le sue idee sulla cucina, è magistrale questa intervista fatta dai ragazzi dell’istituto alberghiero Falcone di Gallarate, nella sede della sua Accademia milanese. Accanto alla sua naturale vocazione all’insegnamento, troviamo le sue pietre miliari, e la sua determinazione nel non essere chiamato chef: «Chef è il capo: o diciamo chef de cuisine o usiamo la parola cuoco». Lui l’ha sempre preferita.
Bellissimo riscoprirlo fiero ed elegante, nelle sale del Castello Sforzesco, alla presentazione della mostra che celebrava la sua cucina: un progetto a cui era molto affezionato e che gli ha dato l’occasione di ripercorrere la sua carriera, che ha coinciso con la sua vita.
E splendido scoprirlo nei racconti dei tanti chef che si sono susseguiti ai fornelli della sua cucina in Bonvesin de la Riva, all’Albereta e al Marchesino.
Davide Oldani, che ricorda il loro primo incontro
e la sua frase più celebre, l’esempio è la più alta forma di
insegnamento. Andrea Berton, che si commuove quando racconta del loro
ultimo incontro, nel suo ristorante, e ricorda la grande occasione https://luz.it/spns_article/
La prima cena al tavolo del ristorante del Maestro, nelle parole di Carlo Cracco, che dice: «Quella sera la mia vita entrò in un altro film». E pochi mesi dopo il film lo condusse nella cucina di Bonvesin de la Riva.
Dove trovò Ernst Knam, legatissimo al Maestro, che ricorda sempre con grande tenerezza. Uniti per sempre, con la data del compleanno del pasticcere che corrisponde con quella della morte del Maestro.
Un documentario sulla storia della sua vita è quello che troviamo su RaiPlay in due episodi: la storia della cucina che si mescola con la grande storia del nostro Paese.
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