L’Acetaia Bonfigliol
di Giuliano Barbon a Nervesa della Battaglia (TV), nasce una decina di anni fa in
seguito all’incontro di Giuliano, restauratore e docente di restauro, con la
tradizione secolare dell’aceto balsamico prodotto esclusivamente nel territorio
delle province di Modena e Reggio Emilia. Una tecnica di produzione che segue
antiche e laboriose procedure, tutelate dai rispettivi disciplinari di
produzione[1].
Il fascino delle acetaie, dove l’aceto affina per molti anni nelle botticelle di legno e il lungo lavoro di preparazione hanno appassionato ed incuriosito Giuliano. Dall’anno 2009 ha iniziato a produrre, con i vitigni autoctoni ed internazionali coltivati nel Trevigiano, aceto di vino invecchiato ed aceto balsamico secondo lo stile in uso a Modena.
Un
lavoro complicato, che richiede abilità e precisione; per questo motivo ha
contatto anche la Consorteria dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena
- associazione nata nel 1967 con l’obiettivo di difendere la tradizione e di
tutelare e valorizzare il prodotto - che svolge corsi di formazione ed
approfondimento.
Come
mi racconta, il suo metodo di produzione dell’aceto balsamico è il
frutto di un processo ottenuto da mosto d’uva cotto, maturato per lenta
acetificazione. Il mosto d’uva appena pigiato viene sottoposto ad un’operazione
di lenta cottura a fuoco diretto e aperto, di circa 14-16 ore. Il mosto
sciropposo ottenuto viene successivamente posto in contenitori di acciaio nei
quali inizia la fermentazione alcolica e l’acetificazione. In primavera viene
inserito nelle piccole botti a capienza scalare di essenze legnose diverse - ciliegio,
gelso, ginepro, pruno, pero, castagno, acacia - nelle quali l’aceto
riposerà per anni. Ogni varietà di legno sarà in grado di conferire all’aceto, con
cui si trova a contatto, diverse sfumature di colore, di sapore e di profumi. I
rincalzi ed i travasi tra la batteria di botti di capacità diverse, operazioni
che richiedono attenzione e competenza, seguono il metodo “soleras”. Giuliano
Barbon mi spiega che partendo da 120 litri di prodotto, dopo cinque anni ne
rimangono solo 20 litri; un dettaglio, questo, che ci fa comprendere il valore
di questo prodotto.
L’aceto
balsamico invecchiato, dalle caratteristiche ineguagliabili, richiede 12
anni di maturazione nella batteria custodita nel sottotetto dell’Acetaia
Bonfigliol. Durante questo processo l’aceto subisce una costante concentrazione
regalando una ricchezza di sfumature aromatiche.
La
produzione dell’aceto balsamico comprende: Balsamico da mosto di uva
Merlot e Cabernet; Balsamico alle
amarene da mosto di uve di Merlot e Cabernet; Balsamico Rabioso da
mosto di uve di Raboso del Piave; Balsamico “Mysticis” da mosto
cotto da uve di Merlot e Cabernet e con macerazione di erbe, fiori, radici e resine
naturali di alberi, ottimo da sorbire con cucchiaio o bicchierino a fine pasto.
Anche
per la produzione di aceto di vino invecchiato, ottenuto dalla
fermentazione acetica[3] del
vino, Giuliano utilizza uve di prima scelta coltivate nel territorio, delle
quali una parte è autoprodotta. L’aceto viene messo a maturare diversi anni in
botti di varia capienza ed essenze legnose. L’Aceto di Vino Bianco invecchiato è
ottenuto con uve dei vitigni Glera e Pinot Bianco, mentre per l’Aceto
di Vino Rosso Invecchiato vengono utilizzate uve di Merlot e Cabernet.
Interessanti
e particolari le caratteristiche degli aceti di vino invecchiati ottenuti con macerazione di
arance e fiori di zagara; fichi con foglie di alloro e pepe rosa; Radicchio
Rosso
Tardivo di Treviso e quello invecchiato con uva passita di Raboso del
Piave e macerazione di petali di rosa.
Tra
le diverse varietà viene proposto: l’Aceto di Vino a bacca rossa in anfora[4],
affinato per diversi anni in anfore coperte con foglie e terriccio di
castagne lasciando aperta l’imboccatura; l’Aceto di Vino passito da bacca bianca (Malvasia
e Solaris) in anfora.
Completa
il ventaglio produttivo l’Aceto di Miele Invecchiato ottenuto
da miele millefiori prodotto direttamente da Giuliano rispettando il ritmo
naturale delle api; vista la particolarità dell’ingrediente è l’unico aceto nel
quale viene aggiunta[5] dell’acqua
minerale di alta montagna a basso residuo fisso allo scopo di abbassare il
grado zuccherino e favorire così la fermentazione.
Gli aceti di vino artigianali di Giuliano Barbon derivano
da lavorazioni lente e naturali. Durante il processo di acetificazione può
capitare che si formi la famosa “madre
dell’aceto”[6],
un difetto che viene eliminato il prima possibile in quanto interferisce
negativamente dando luogo a odori sgradevoli che snaturano il prodotto di
partenza.
L’aceto
di vino, un importante prodotto di origine antica, veniva apprezzato per le sue
proprietà antisettiche, antifermentative e medicamentose;
“… indispensabile
per la vita quotidiana, costituendo
un buon condimento in cucina, un prezioso conservante per i cibi, un efficace
disinfettante e anche una dissetante bibita se miscelato con l’acqua …”[7]
Santa
Ildegarda di Bingen (*1098 – †17/09/1179 Bingen am Rhein) mistica e teologa
tedesca, lo annovera tra le sostanze con virtù curative per le sue capacità di
favorire il processo digestivo. Anche Bartolomeo Platina, ne “Il piacere onesto e la buona salute”, summa del sapere gastronomico del Quattrocento,
gli riconosce, “usato in maniera
moderata, [proprietà
digestive] calmando le infiammazioni e
stimolando l’appetito.” L’autore consiglia di utilizzare l’aceto nei cibi
durante le pestilenze, “… di bagnarsene i
polsi e le narici in luogo di altre cose odorose e di spargerne nelle
abitazioni.”[8]
Oltre
alle molteplici proprietà taumaturgiche per la cura e la prevenzione delle
malattie, gli sono riconosciute altre proprietà. Il gastronomo errante
Giacomo Casanova[9], che non
trascurava il piacere della tavola, nelle sue memorie fa riferimento ad un’insalata,
condita con l’Olio di Lucca e con l’Aceto dei Quattro Ladri[10]
che riteneva avesse proprietà afrodisiache.
L’aceto
ha una lunga storia anche in campo gastronomico. Gli antichi romani lo
utilizzavano per insaporire molti piatti; nel medioevo era uno degli
ingredienti principali, addizionato a spezie ed erbe aromatiche, per la
preparazione di salse che avevano lo scopo aromatizzare le pietanze ed anche di
coprire gli sgradevoli odori di carni poco fresche; nella cucina rinascimentale
era tenuto in considerazione per la sua componente agra in grado di esaltare il
sapore di pietanze a base di carne, pesce e verdure.
Indispensabile
nella preparazione di vinaigrette e condimenti, nel processo di marinatura e
nella conservazione di ortaggi e verdure in genere, aumenta la tendenza acida
di un piatto e stimola la salivazione, rendendo più accentuata la sensazione di
succulenza indotta; il balsamico tradizionale invece regala aromaticità e
tendenza dolce, intensità e persistenza gusto-olfattiva, struttura e
complessità.
Gli
Aceti stanno vivendo un momento di particolare interesse ed entrano come
protagonisti in molte ricette della buona cucina italiana. “Come tutti gli ingredienti raffinati, anche
l’aceto balsamico tradizionale va dosato a piccole dosi, per esaltare i sapori
e non per coprirli. Ne bastano poche gocce, infatti, per trasformare un comune
pesce lessato in un piatto da buongustai o un semplice gelato alla crema in uno
squisito dessert.”[11]. Un condimento prezioso, da non
sprecare, che va usato preferibilmente crudo; ottimo, ad esempio, anche sul bollito,
sui tortelli e sui risotti.
La
visita all’Acetaia Bonfigliol di Giuliano Barbon,
si è conclusa con la degustazione degli aceti di vino e balsamici. Un’
esperienza sensoriale unica, che ha coinvolto vista, olfatto e gusto permettendomi
di poterne cogliere le loro differenti caratteristiche: intensità di colore,
densità, profumi, sapori.
Una
produzione artigianale limitata e di pregio, assolutamente da valorizzare, che
deriva da una materia prima di elevata qualità; le uve utilizzate provengono da
vitigni del territorio Trevigiano coltivati senza utilizzo di prodotti chimici;
le fermentazioni sono naturali e senza l’aggiunta di lieviti, solfiti, zuccheri
e conservanti.
Anche
le operazioni di imbottigliamento, etichettatura, e confezionamento degli aceti
sono svolte direttamente all’interno dell’azienda.
L’alchimia
ed il tempo sanno creare aceti che, come afferma Giuliano, “non sono solo condimento,
ma condi-mente”, dei
veri elisir ai quali è difficile saper resistere.
Per
il gastronomo la conoscenza delle piccole realtà produttive è fondamentale per
dare valore al cibo ed all’economia locale, ma anche per sentirsi partecipe del
processo che porta il cibo sulla tavola.
“Le conoscenze gastronomiche sono necessarie
a tutti gli uomini, perché tendono ad aumentare la quantità di piacere a loro
destinata ……”[12]
Antonella Pianca
Fotografie di Antonella Pianca e Giovanni Damian ©2020
Per approfondire:
· Sandro Bellei, L’Aceto Balsamico, un aceto di vino ma anche divino, Franco Muzzio Editore, Roma, 2015
· Jean-Anthelme Brillant-Savarin, Fisiologia del Gusto o Meditazioni di gastronomia trascendente, Slow Food Editore, Bra (CN), 2008
· Maria Attilia Fabbri Dall’Oglio e Alessandro Fortis, Il gastronomo errante Giacomo Casanova, Ricciardi & Associati Editore, Roma, 1998
· Bartolomeo Platina, Il piacere onesto e la buona salute, Giulio Einaudi Editore, Torno, 1985
[1] Il Disciplinare di Produzione dell’Aceto Balsamico Tradizionale DOP di Modena – pubblicato nella G.U. 30/05/2000 - prevede che Il processo di produzione parta dal mosto d’uva di questi principali vitigni: Lambrusco (tutte le varietà e cloni), Ancellotta, Trebbiano (tutte le varietà e cloni), Sauvignon, Sgavetta (uva a bacca rossa coltivata nelle province di Modena e Reggio Emilia), Berzemino (sinonimo del vitigno Marzemino), Occhio di Gatta (vitigno a bacca bianca). Il Balsamico deve avere almeno 12 anni di invecchiamento. È consentita la citazione “extra vecchio” per il prodotto che abbia avuto un invecchiamento non inferiore ai 25 anni. Una metodologia di produzione che prevede passaggi precisi e codificati a garanzia di un’eccellenza del territorio.
[2] Il termine “balsamico” pare derivi dalle proprietà benefiche e curative che storicamente gli sono riconosciute.
[3] L’aceto è ottenuto da un batterio acetobacter aceti (scoperto da Luigi Pasteur nella seconda metà del XIX secolo) che trasforma l’alcol etilico contenuto nel vino, nella birra, nell’idromele ed in altre bevande alcoliche fermentate, in acido acetico.
[4] L’utilizzo dei recipienti in terracotta come vasi vinari per la fermentazione e come contenitori per la conservazione del cibo risale agli albori della civiltà.
[5] L’aggiunta di acqua negli aceti è una operazione consentita dalla legislazione vigente in materia di produzioni alimentari (L. 12/1272016 n. 238).
[6] La madre dell'aceto, altrimenti detta "mycoderma aceti", è una sostanza composta da una forma di cellulosa e da batteri acidi dell'aceto che si sviluppa dalla fermentazione dei liquidi alcoolici e che, con l'ossigeno, trasforma l'alcool in acido d'aceto.
[7] Sandro Bellei, L’Aceto Balsamico, un aceto di vino ma anche divino
[8]
Bartolomeo Platina, Il piacere onesto e la buona salute
[9] Maria Attilia Fabbri Dall’Oglio, Alessandro Fortis, Il gastronomo errante Giacomo Casanova
[10] L'Aceto dei Quattro Ladri - o Ladroni, noto anche come Aceto Marsigliese o Rimedio di Marsiglia o con altri nomi simili - è un infuso di piante medicinali in aceto (di vino rosso, bianco, sidro o distillati) che si credeva avesse il potere di proteggere dal contagio della peste. Nel 1748 l'Aceto dei Quattro Ladri venne inserito nella Farmacopea del Corpo Medico francese, e venduto in farmacia come antisettico; ne fu eliminato nel 1884 in seguito alla diffusione della medicina moderna.
[11] Sandro Bellei, L’Aceto Balsamico, un aceto di vino ma anche divino
[12] Jen-Anthelme Brillat-Savarin, Fisiologia del Gusto – Meditazioni di gastronomia trascendente
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