22.02.2020 - 16.05.2020
OPENING: sabato 22 febbraio 2020 dalle ore 18.30
OPENING: sabato 22 febbraio 2020 dalle ore 18.30
Galleria Poggiali, Firenze
Via della Scala, 35/A
Via Benedetta, 3r
50123 Firenze
Via Benedetta, 3r
50123 Firenze
Fabio Viale (Cuneo, 1975) torna a Firenze con una personale alla Galleria Poggiali, dopo una serie di apparizioni di successo alla Biennale di Venezia e alla Gipsoteca di Monaco. Sabato 22 febbraio 2020, alle ore 18.30, si inaugura la mostra Acqua alta High tide, che proseguirà fino al 16 maggio 2020 con ingresso libero.
Nella nuova mostra fiorentina l’artista piemontese propone due diverse installazioni: una per la sede di via della Scala 35/Ar, l’altra per lo spazio in via Benedetta 3r. Per l’occasione sarà pubblicato un catalogo con un saggio di Sergio Risaliti, direttore artistico del Museo Novecento di Firenze.
Le bricole
Gli spazi di via della Scala sono occupati dal gruppo di sculture che l’artista ha realizzato appositamente per il Padiglione Venezia (ai Giardini) della 58a Esposizione internazionale d’arte – La Biennale di Venezia, conclusasi lo scorso novembre e che ha visto la presenza di un gran numero di visitatori.
Si tratta di una dozzina di monoliti in pietra che replicano a misura reale quei pali in legno di rovere o di castagno alti tre metri e oltre che affiorano nella laguna di Venezia. Questi oggetti sono denominati “bricole”, e servono da segnali per la navigazione. Quelle realizzate da Viale imitano il legno in maniera così stupefacente da far credere che queste sculture siano in realtà dei calchi.
L’allestimento odierno ricorda quello veneziano, cui si è aggiunto un dato di cronaca che ha trasformato disgraziatamente il virtuale in reale. Nel Padiglione ai Giardini, infatti, il paesaggio originale, cioè quello dei canali e della laguna veneziana caratterizzati dalle bricole, veniva evocato con una installazione multisensoriale che immergeva i visitatori in una ambiente realistico grazie a un pavimento immerso in un tappeto di acqua bassa e a una nebbia realizzata con teli di plastica leggermente opachi, che separavano i visitatori dai pali in pietra.
Il dramma dell’acqua alta, da cui il titolo della mostra odierna, ha cambiato tutto, a riprova che la realtà supera molte volte la nostra immaginazione. L’acqua alta che ha invaso tutta Venezia, è penetrata anche nel Padiglione dove si trovavano ancora le sculture di Viale, ora trasportate a Firenze sane e salve. Un motivo in più per spingere Viale a mantenere l’idea originale in questa esposizione di via della Scala. Ovvero per sottolineare in fondo l’emergenza che stiamo attraversando, quella dell’innalzamento del livello del mare, dei cambiamenti climatici e del progresso incontrollato che ha stravolto equilibri naturali e il paesaggio in ogni parti del mondo. La galleria è invasa da uno strato di sabbia umida, come se l’acqua si fosse appena ritirata dall’ambiente che ospita le ‘bricole’. In più, Viale ha macchiato le pareti della galleria con un colore sporco, limaccioso, che riproduce la linea dell’acqua, come se lo spazio fosse realmente allagato. L’allestimento, così risolto, assume un aspetto drammatico e serve a collegare gli inquietanti eventi di questi giorni, conseguenza dei cambiamenti climatici, a quanto vissuto a Firenze nell’autunno del 1966, quando l’Arno superò gli argini, e con tutta la sua furia devastatrice il fiume invase il centro cittadino, raggiungendo l’altezza di molti metri in certi quartieri, come quello di Santa Croce. Ancora oggi, una lapide ricorda la linea dell’acqua in via della Scala e in Piazza Santa Maria Novella, dove furono superati i due metri, deturpando alla base affreschi preziosi e marmi pregiati.
“Emergenze” lapidee
Il tono così drammatico dell’allestimento in via della Scala si accentua nello spazio di via Benedetta, dove Viale ha rovesciato quintali di pietrisco, detriti di marmo direttamente prelevati dai cosiddetti ravaneti, che sono in realtà gli strapiombi dove vengono gettati gli scarti della estrazione in cava: pietrame e schegge inutilizzabili, materiale prodotto dalla frantumazione della pietra che, precipitando e scivolando a valle, si sbriciola e crea delle vere e proprie cascate di marmo, che viste dalla marina sembrano antichi ghiacciai sopravvissuti al riscaldamento delle temperature.
Tra la massa informe dei detriti, che sembra muoversi come un fiume e trascinare con sé tutto, di tanto in tanto però emergono statue mozze, pezzi frantumati di vasi in marmo, arti e teste di pietra lavorati dal tempo e dalla caduta. Le Tre Grazie sono state ridotte a brandelli; un personaggio pittoresco, un moro con turbante, appare riportato allo stadio grezzo di macigno; un aggraziato Apollo è senza braccia, gambe e testa; un molosso è restituito alla natura come sasso di fiume.
Il paesaggio può ricordarci, l’inevitabile tragedia del divenire che tutto riduce in polvere.
Nel Rinascimento si soleva rappresentare l’esperienza della caducità e della fine, anche quella di imperi e gloriose dinastie, con immagini e simboli significativi, quali colonne spezzate, edifici diruti, sculture rese informi dal lento e inesorabile lavorio del tempo. Il fascino di questi moniti figurativi, dai significati morali riposti, derivava dal contrasto tra la bellezza dei manufatti, la perfezione delle arti e il loro opposto aspetto in disfacimento. Come se un bel volto luminoso di grazia rivelasse al contempo lo spettrale e disgustoso aspetto di un cranio in decomposizione.
Fabio Viale ha un rapporto assai speciale con le cave di Carrara, dove dai tempi di Giulio Cesare si estrae il marmo più puro al mondo. Molte delle sue più note sculture sono state scolpite nel marmo statuario, considerato il più pregiato per la sua lucentezza e morbidezza. Viale si trova a casa sua tra queste pareti bianche come la neve, ha afferrato segreti tecnici dai vecchi cavatori, su come maneggiare i macigni e come intuirne la forma migliore, e ha acuito la sensibilità per riconoscere qualità e pregi della pietra da scolpire.
Nelle bricole e nel ravaneto ricostruito noi vediamo cose che non sapevamo di poter vedere. Molte volte non riconosciamo altro in ciò che abbiamo davanti agli occhi. Compito dell’arte e della poesia è far giungere a noi l’immagine imprevedibile, quella che risvegli in noi un’altra esperienza conoscitiva, verità sopite, rimosse o diverse, occultate dall’abitudine, dagli stereotipi, dai pregiudizi. Nuove narrazioni ed emozioni. La scultura - come sostiene Heidegger - confrontandosi con l’originale essenziale, anela alla verità, ma vi giunge lasciando spazio all’imprevedibile, senza la cui esperienza anche la parola verità si fa sinonimo di tirannia. Ed è contro la tirannia dell’omologazione, del potere e di ogni sua pretesa che Viale lavora con libera determinazione da molti anni.
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