12 ottobre 2024 - 16 febbraio 2025
In collaborazione con la Collection de l’Art Brut, Losanna
Sarah Lombardi e Anic Zanzi
con la consulenza scientifica di
Baptiste Brun
per la sezione Jean Dubuffet
“Operazione artistica del tutto pura, bruta, reinventata dal suo autore,
a partire unicamente dai propri impulsi, in tutte le sue fasi”.
[Jean Bubuffet, da “L’Art Brut préféré aux arts culturels,
Catalogue de l'exposition à la Galerie René Drouin, 1949]
Nel cuore di una Parigi postbellica, lontano dalle sale dei musei d’arte e dai salotti raffinati, emerge una nuova, inaspettata quanto scardinante concezione dell’arte: l’Art Brut.
Un’arte ‘grezza’, ‘pura’, ‘non filtrata’, letteralmente, ma non certo nel significato profondo attraverso cui la identificava il suo inventore, l’artista e teorico francese Jean Dubuffet. Questa non è infatti l’arte dei dilettanti o dei principianti. È l’arte dell’istinto, dell’anima nuda, dell’espressione incontaminata, che non si preoccupa delle regole, delle tecniche accademiche o delle convenzioni. È l’arte di chi non ha mai frequentato una scuola d’arte, ma ha imparato da sé, dai sogni, dalle visioni.
Dubuffet iniziò a collezionare opere di artisti non professionisti ed autodidatti e di persone spesso ai margini della società che riuscivano, senza filtri culturali e preconcetti artistici accademici, ad andare oltre le convenzioni raccontando sé stessi e il mondo attraverso l’illustrazione di idee non convenzionali e di mondi di fantasia elaborati. Artisti che creavano solo per sé stessi, alla ricerca di una libera espressione e libera tecnica, utilizzando materiali e materie prime che casualmente avevano sottomano e servendosi così, inconsciamente, di mezzi artistici nuovi, non tradizionali e non codificati, fuori dagli schemi.
Una presa di posizione radicale di Dubuffet contro il sistema dell’arte, lontano e al margine sia dai centri dell’arte tradizionale sia dai centri delle avanguardie.
Grazie alla donazione della sua collezione, iniziata nel ’45, alla Città di Losanna, la Collection de l’Art Brut a Losanna è stata inaugurata nel 1976 e ancora oggi continua ad arricchirsi di nuove opere, oggi le istituzioni pubbliche, le collezioni private, le gallerie, le fiere e le mostre dedicate a questa forma d’arte si sono moltiplicate. Critici e storici dell’arte italiani hanno organizzato mostre e convegni che comprendevano in particolare opere d’Art Brut, come la Biennale di Venezia a partire dal 2013 fino alla Biennale appena apertasi, e pubblicato cataloghi su questo tema. Nonostante tale lavoro e il fatto che in questo ambito gli autori di origine italiana siano molti, sono ancora poche in Italia ad oggi le istituzioni pubbliche dedicate all’Art Brut, e sebbene sia riconosciuto dall’ambiente artistico e dal suo mercato, il concetto di Art Brut rimane relativamente estraneo al grande pubblico.
La mostra “Dubuffet e l’Art Brut. L’arte degli outsider”, che apre dal 12 ottobre 2024 al Mudec, appositamente concepita per il Museo delle Culture, vuole portare in Italia un progetto espositivo che racconti al pubblico la straordinaria potenza espressiva dell’Art Brut, di questa creazione artistica e rivoluzionaria da cui hanno tratto ispirazione molti artisti contemporanei e che continua oggi ad essere essenziale, nella convinzione che l’arte sia per chiunque abbia una voce da far risuonare attraverso la necessità vitale di esprimersi.
“Dubuffet e l’Art Brut. L’arte degli outsider”, prodotta da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE, promossa dal Comune di Milano-Cultura con il patrocinio del Consolato Generale Svizzera a Milano e che vede come Institutional Partner Fondazione Deloitte, è in collaborazione con la Collection de l’Art Brut, Lausanne, che possiede una straordinaria raccolta di oltre 70.000 opere di Art Brut nata dal nucleo storico raccolto da Dubuffet e donato alla Città di Losanna nel 1971. Disegni, dipinti, sculture e opere tessili, che crescono ancora oggi grazie ad acquisti e donazioni.
Dal museo svizzero provengono più di 70 opere esposte, tra cui alcune opere “storiche” appartenenti al nucleo della collezione, come le magnifiche composizioni di figure maggiori svizzere dell’Art Brut, quali Aloïse Corbaz e Adolf Wölfli, insieme a sculture di Émile Ratier e a dipinti di Carlo Zinelli (l’autore italiano d’Art Brut più celebre).
La mostra è curata da Sarah Lombardi, direttrice della Collection de l’Art Brut, Losanna e da Anic Zanzi, conservatrice alla Collection de l’Art Brut, Losanna, e per la sezione dedicata a Jean Dubuffet da Baptiste Brun, docente e curatore esperto di Jean Dubuffet.
L’esposizione propone un percorso quadripartito. Nel primo spazio presenta un corpus di opere di Jean Dubuffet e di documenti che collocano in una prospettiva storica l’invenzione del concetto di Art Brut, relativamente al suo lavoro di artista, scrittore e collezionista.
A seguire una selezione di opere di Art Brut provenienti dalle sue esplorazioni attesta l’ampiezza e la qualità delle sue ricerche in questo campo a monte della donazione del 1971. In due altre sale, un insieme di opere di Art Brut provenienti dai cinque continenti è legato alle tematiche del corpo e delle credenze. Per i loro soggetti e le loro origini, queste opere entrano dunque particolarmente in risonanza con le collezioni del Museo delle Culture di Milano e permettono di scoprire nuovi autori, di cui alcuni sono contemporanei.
In mostra è a disposizione del pubblico una audioguida gratuita, che può essere scaricata in forma di app presso la biglietteria. Tra le voci e i commenti che accompagnano la visita si possono ascoltare anche le parole dello stesso Jean Dubuffet e degli artisti di Art Brut.
In occasione della mostra, 24 ORE Cultura ha pubblicato il catalogo “Dubuffet e l’Art Brut. L’arte degli outsider”. Il volume è disponibile all’interno del bookshop della mostra, nelle librerie e online.
La prima sezione. Jean Dubuffet.
Nel corso della sua carriera professionale di artista, iniziata relativamente tardi, ovvero alla fine del 1944 con la sua prima mostra personale, il francese Jean Dubuffet (1901-1985) coltiva un'ossessione radicale per la creazione libera dalle norme e dai precetti della cultura artistica, che considerava asfissianti.
Pittore, scultore, scrittore e musicista, è anche un instancabile ricercatore di opere prodotte al di fuori dei circuiti artistici tradizionali.
A questo proposito, fin dal periodo tra le due guerre, Dubuffet si interessa a disegni, dipinti, sculture e assemblaggi realizzati da artisti non professionisti, affinando il suo gusto e la sua conoscenza dell'arte popolare, del disegno infantile, in un lavoro di visione che considera sullo stesso piano orizzontale cose a priori incomparabili. Era affascinato da quelle creazioni che riuscivano a essere meno intaccate dalla cultura artistica delle scuole, delle accademie e dal mercato dell'arte.
Fin dall'autunno del 1944, Dubuffet cerca ogni tipo di documento che possa testimoniare quella che rimane la sua affermazione più forte, programmatica di tutta la sua opera, che nel 1946 condensa in una frase: “Tout le monde est peintre”, “Ognuno è pittore”. Dubuffet crede che ‘La vera arte è sempre dove non ci aspettiamo di trovarla’; egli cerca fuori dai circuiti tradizionali e istituzionali le tracce di una creazione che definisce con un ossimoro, intrecciando due nozioni antitetiche fino all'indistinzione: Art Brut. E cerca di definirla: “Con questo intendiamo un'arte di opere eseguite da persone prive di cultura artistica, nella quale quindi il mimetismo, contrariamente a quanto avviene tra gli intellettuali, ha poca o nessuna parte, sicché i loro autori attingono tutto (soggetti, scelta dei materiali utilizzati, dei mezzi di trasposizione, dei ritmi, dei modi di scrivere, ecc.) dal proprio background e non dai cliché dell'arte classica o dell'arte à la mode”.
Di conseguenza, per Dubuffet ogni uomo comune è un artista in nuce. E aggiunge: “Siamo di fronte ad un'operazione artistica pura, cruda, reinventata in tutte le sue fasi dal suo autore, basandosi esclusivamente sui propri impulsi.”
Da questo concetto fondamentale, alla base dell’Art Brut, si può dunque comprendere l’allargamento e l’interesse di Dubuffet nei confronti di tutte le scienze umane e sociali (come antropologia, etnografia, studio del folklore e ancora psichiatria, psicologia, pedagogia) che potessero aiutarlo a portare avanti le sue indagini per capire al meglio l’uomo e il filo invisibile che connette ognuno di noi al concetto di arte ‘pura’, dell’impulso, ‘grezza’, contrapposta all’arte ‘culturale’. Dubuffet mobilita, quindi, un’ampia rete di cooperazione. Si interfaccia continuamente con etnografi, psichiatri e altri studiosi dell'alterità artistica. In Svizzera, nell'estate del 1945, Dubuffet incontra il direttore del Museo etnografico di Ginevra, Eugène Pittard, e gli alienisti Charles Ladame e Walter Morgenthaler. A Parigi, i suoi rapporti con Charles Ratton e Jean Paulhan gli aprono le porte del Musée de l’Homme. Dubuffet parla lì con l'oceanista Patrick O'Reilly, attirando la simpatia di Claude Lévi-Strauss e Georges Henri Rivière del Museo delle Arti e Tradizioni Popolari. Frequenta anche surrealisti come André Breton e Paul Eluard. Attraverso le sue ricerche e durante i suoi viaggi - dal Sahara alla metropolitana di Parigi - e nelle sue opere, rielabora in una nuova ottica estetico-artistica le nozioni di ‘vicino’ e ‘lontano’, affinando così le sue concezioni artistiche, supportate dal proprio lavoro di artista e dalle sue collezioni.
Metodico e coscienzioso, Dubuffet mette insieme tutta questa documentazione, soprattutto fotografica e bibliografica, che raccoglie i risultati della sua ricerca. Le opere della sua biblioteca testimoniano la sua curiosità e i suoi album fotografici l'esercizio dello sguardo, le sue lettere parlano di uno spirito critico. Questo lavoro costante di ricerca gli permetterà di chiarire cosa egli intendeva per “Art Brut” così come lo incoraggerà a prendere le distanze dal concetto di “arte primitiva” o addirittura dalla definizione di “arte degl’insani”.
L'arte di Dubuffet è caratterizzata da un contrappunto e da una vera e propria cultura del paradosso; non si lascia mai rinchiudere in formule collaudate, oscilla tra un materialismo manifesto e un'alta concettualità, fa dell'eterogeneità e della diversità una condizione della sua esistenza. Così, per quasi quattro decenni, una serie si è susseguita all'altra, combinando, a volte contemporaneamente, l'elogio di una figura umana archetipica e la celebrazione della materia nel suo stato più elementare, l'apologia del visibile e la celebrazione dello spirito, con l'Art Brut come orizzonte della vera creazione. Un sorprendente movimento di andata e ritorno, dove le sue esplorazioni hanno alimentato la sua concezione e pratica dell'arte, così come la sua stessa creazione ha alimentato le sue esplorazioni. Ma attenzione: per lo stesso Dubuffet il proprio lavoro come artista non va confuso o assimilato con l’Art Brut.
La sezione dedicata a Dubuffet nella mostra del Mudec presenta un’ampia panoramica del suo lavoro di artista – 18 tra dipinti, disegni, e sculture prodotti tra il 1947 e il 1982 e provenienti da prestigiose collezioni come il Musée des Arts Décoratifs di Parigi, il Musée Cantonal des Beaux-Arts di Losanna o ancora la Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea di Roma- insieme a un corpus di materiale documentario – libri, cataloghi, lettere, manifesti e fotografie - che introducono il visitatore alla seconda sezione, dando un'idea della eterogeneità degli stili e della portata del lavoro svolto da Dubuffet per scovare e valorizzare gli autori di Art Brut e le loro opere, che egli non smise mai di collezionare.
La seconda sezione. L’Art Brut.
La raccolta storica di Dubuffet, poi donata nel 1971 alla Collection de l’Art Brut di Losanna, è frutto di un viaggio di ricerca iniziato in Svizzera e in Francia nel 1945, poi proseguito in altri paesi, sfociato in un florilegio di lavori prodotti da artisti outsider autodidatti.
La storia personale e il rapporto con la società hanno profondamente influito e caratterizzato la produzione artistica di questi autori, i quali creavano senza preoccuparsi né del giudizio del pubblico né dello sguardo altrui. Non avendo bisogno di riconoscimento né di approvazione, gli autori dell’Art Brut concepiscono universi, spesso enigmatici, non destinati ad altri che a loro stessi.
Molto forte è l’attenzione a tematiche personalmente vissute e che influenzano le loro creazioni: per questo motivo, se si vuole davvero comprendere in pieno la poetica degli artisti di Art Brut è impensabile scindere l’osservazione delle loro opere dalla conoscenza della loro vita e del loro vissuto personale.
La mostra “Dubuffet e l’Art Brut. L’arte degli outsider” offre al pubblico l’affascinante prospettiva di immergersi nel mondo spesso forte, estremo di ogni autore, collegando il fil rouge della vita all’opera.
La seconda sezione ospita le composizioni delle figure più importanti e storiche dell’Art Brut. Aloïse Corbaz, internata in un ospedale psichiatrico, inizia a disegnare e a scrivere segretamente, utilizzando materiali insoliti come petali di fiori e foglie schiacciate. La sua opera è una cosmogonia personale, popolata da figure principesche e temi festivi. Carlo Zinelli, le cui gouache, con figure umane stilizzate e dettagli anatomici, sono un viaggio nella sua mente complessa e affascinante. Adolf Wölfli, colorista geniale e autore di un’opera colossale, con 25.000 pagine di composizioni grafiche a pastello, collage, creazioni letterarie e partiture musicali. Emile Ratier, artista cieco che – spinto dall’esigenza di “vedere” in maniera alternativa - crea sculture mobili animate con manovelle e meccanismi sonori, scolpendo il legno, sua grande passione. I rumori e i cigolii guidano la sua finitura, mentre i soggetti delle sue opere spaziano da carri e giostre ad animali.
La terza e la quarta sezione: Credenze e Corpo
In queste due sezioni viene presentato un insieme di opere provenienti dai cinque continenti il cui focus è legato alle tematiche delle credenze e del corpo.
La tematica delle credenze, intesa in un senso molto più ampio della sola dimensione religiosa, coinvolge qui anche credenze personali, vere e proprie mitologie individuali. Cercando spiegazioni sui fondamenti dell’essere, sulla vita e sulla morte nonché sul proprio destino individuale, gli autori d’Art Brut non trovano risposte a priori nei dogmi usuali, oppure, a volte, se ne riappropriano reinterpretandoli. Marie Bouttier, il cui fortissimo interesse per l’occulto a sessant’anni la stimola – durante momenti di trance medianica - a realizzare disegni automatici a matita che ritraggono strane creature dalla forma indistinta, in cui fogliame e vari motivi vegetali si confondono e si trasformano in insetti, pesci o larve. Giovanni Battista Podestà, profondamente segnato dalla religione cattolica, è pervaso da una visione manichea dell’esistenza e sente il dovere di denunciare la corruzione sociale, mentre Madge Gill, così come altri, crede in relazioni durevoli con i defunti e affida la responsabilità del proprio lavoro artistico a un’entità altra, lasciando che la sua mano venga guidata da ciò che gli spiriti le dettano.
Tra le molteplici rappresentazioni della tematica del corpo, e i significati che queste hanno per gli autori d’Art Brut, in mostra i lavori della cinese Guo Fengyi illustrano i fluidi che lo attraversano, mentre quelli di Giovanni Bosco svelano anatomie frammentate; il maschile e il femminile si coniugano nei disegni di Giovanni Galli, mentre Sylvain Fusco evoca il corpo dal punto di vista dell’erotismo e del piacere carnale.
Le molte opere grafiche e plastiche nonché quelle tessili selezionate per questa mostra sono state realizzate da uomini e donne originari di diverse parti del mondo.
Rivelano la ricchezza e la grande varietà delle collezioni del museo di Losanna, così come la potenza estetica di lavori concepiti ai margini del mondo dell’arte da creatrici e creatori autodidatti che dimostrano fantasia, ingegnosità, talento e capacità che hanno acquisito da sé.
La mostra dunque intende dare voce alle diverse forme di cultura e di arte nel mondo, e accendere un faro sulla libertà dell’arte e sulle espressioni artistiche dei cinque continenti.
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