Il Lunari dell’Ecomuseo è ormai considerato un pezzo da collezione. Ricercatissimo, dal 2013 si avvale della collaborazione del fotografo Graziano Soravito, ripromettendosi di far conoscere e dare visibilità al patrimonio comunitario presente sul territorio dei sei comuni che hanno aderito al progetto ecomuseale: Gemona del Friuli, Artegna, Buja, Majano, Montenars e Osoppo. L’edizione 2023 è dedicata ai lavatoi, grandi e piccoli, pubblici e privati, situati sul bordo dei fiumi e delle rogge, alimentati da sorgenti che sgorgano dalle montagne e dai morbidi rilievi collinari. Fino a qualche decennio fa hanno svolto una rilevante funzione sociale, proponendosi come luoghi di lavoro ma anche di incontro. Risalenti per la gran parte alla seconda metà dell’Ottocento o all’inizio dello scorso secolo, i lavatoi del Gemonese sono facilmente accessibili, posizionati lungo strade e sentieri, spesso parte integrante degli abitati. Le foto di Soravito documentano un campionario articolato, dal Lavatoio del Glemine che ha fatto la storia di Gemona (parte della costruzione è del Cinquecento), a quello di Codesio eretto in epoca fascista, ai semplici manufatti la cui dimensione era funzionale al numero di abitanti (lo attesta il lungo lavatoio di San Floreano, una delle frazioni più popolose di Buja), talvolta ricoperti da una semplice soletta sorretta da colonnine di cemento. Non va dimenticato il piccolo lavatoio sperduto nella campagna di Artegna dal nome sinistro: Poç Sassin. Di tutti vengono raccontate la storia e le vicende che li hanno segnati nel tempo. «Il Poç Sassin è piccolo lavatoio situato in aperta campagna, nella piana tra Artegna e Buja. Venne realizzato durante la bonifica del 1876, sfruttando una copiosa risorgiva. Le sorgenti della zona, dette tulìns, sono di tipo artesiano, determinate dal terreno argilloso. (…) Lo strano toponimo (“Pozzo Assassino”) viene fatto risalire a una delle tante dicerie di paese: tanto tempo fa una famiglia, transitando con un carro in questo luogo, sarebbe scomparsa, come inghiottita dalla palude. Il lavio, distante dall’abitato e raggiungibile in bicicletta, era frequentato nei periodi di siccità soprattutto dalle donne delle borgate arteniesi di Sottocastello e Sottocolle, che non avevano la possibilità di lavare i panni mancando l’acqua nel Rio Gleriuzza». |
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