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domenica 9 maggio 2021

Carciofo astigiano del sorì Tenero, buono e con poco spreco

 

 




 

Carlotta ha una sua regola ben precisa, durante la stagione di raccolta, maggio e giugno, carciofi a tavola almeno due volte alla settimana, se si può anche tre. E fa bene Carlotta perché i carciofi sono buoni e fanno bene ai reni, al fegato, all’apparato digerente. Sono poco calorici, diuretici e validissimi alleati per combattere il colesterolo.

I carciofi hanno una storia secolare e sono originari del bacino del mediterraneo, con molta probabilità sono dei derivati del carduccio spontaneo nell’Europa meridionale, Africa del nord e Asia occidentale.

Parliamo di una pianta dal forte e longevo apparato radicale, dal fusto di colore grigio verdognolo, decisamente robusto e che può superare il metro in altezza. Le foglie in maggioranza basali sono ampie mentre le infiorescenze, eduli, sono sviluppate in capolini. I fiori si presentano di colore azzurro violetto e risultano ermafroditi, il frutto, chiamato seme è un achenio.

Le varietà coltivate si dividono in inermi e spinose e in verdi o violetti, e si coltivano trapiantando i carducci.

L’Italia è uno dei più grandi produttori al mondo di carciofi e le varietà presenti sui nostri territori sono davvero tante: carciofo romano, sardo, di Empoli, di Chioggia, di Albenga senza contare quelli che troviamo in regioni come la Puglia e la Sicilia. Contrariamente a ciò che si può pensare anche nel sud del Piemonte c’è un particolare ecotipo di carciofo decisamente interessante.

E’ il carciofo astigiano del sorì, conosciuto anche come semplice astigiano o Valtiglionese della Val Tiglione. La sua storia è secolare, risale al XV secolo ed è ricca di sfumature piacevoli, intanto perché un tempo era un prodotto destinato solo ai ricchi, coltivato in ville e castelli dai nobili, e poi perché ancora oggi lo si può trovare con facilità all’inizio dei filari dei vigneti: a differenza di altre zone vitate dove troviamo le rose.

Infatti il sorì altro non è che il termine dialettale con cui si indicano i punti collinari dove si coltivano le vigne migliori, ovvero terreni che hanno l’esposizione a sud, sud est, sud ovest e che risultano come habitat ideale per una produzione tipica consona agli ambienti mediterranei.

L’areale produttivo del carciofo del sorì è costituito proprio dalle colline astesane nell’anfratto delineato dal fiume Tanaro e dai torrenti Tiglione e Belbo.

A parte le piante che troviamo vicino ai filari delle vigne le carciofaie, quelle vere in produzione, le troviamo su suoli drenanti e vengono rinnovate con regolarità ogni dieci anni circa. Le piante, che possono raggiungere il metro e mezzo di altezza, non necessitano di irrigazione producono carciofi ovoidali allungati privi di spine: ogni pianta può dare anche dieci capolini.

La raccolta avviene manualmente e i carciofi sono dolci e teneri e poche sono le foglie che si devono eliminare; il carciofo del sorì si presta come ingrediente per svariate ricette, è ottimo anche sott’olio e come elemento per un piacevole liquorino; ma la morte sua è crudo servito con olio evo, sale e pepe e qualche scaglia di formaggio grana.

Tornando alla sua storia è doveroso raccontare che furono i furbi contadini a trafugarlo in modo tale che diventasse una delizia per tutti e non solo per i benestanti, e lui, l’arcicioc, come si chiama in loco, ha ricambiato con sapore, salute e rendita. Naturalmente lo si può gustare tutto l’anno se lo mettiamo appunto sott’olio o in freezer.

Di recente il carciofo del sorì è diventato un presidio Slow Food e un gruppetto di giovani agricoltori ha ripreso la sua coltivazione che, dopo una buona produzione fino agli anni cinquanta, ha vissuto negli ultimi decenni un declino sostanzioso, soprattutto perché, essendo un tardivo, arriva sul mercato quando le varietà del sud Italia sono a fine stagione e hanno un prezzo più basso.

E’ per questo motivo sostanzialmente che nel tempo si è persa la produzione importante relegando i capolini a coltura con destinazione famigliare, mentre oggi il Presidio ha nel suo intento la voglia di ridare valore al carciofo, sia in termini di reddito per gli agricoltori che in quelli storico ed enogastronomico.

L’inizio della rinascita dei pregiati e saporiti capolini si è realizzato anche grazie al prezioso contributo di Egidio Gagliardi di Mombercelli che ha donato ai giovani produttori i carducci per il trapianto. Egidio è un agricoltore vecchio stampo, gentile e disponibile, ma soprattutto oltre ad essere memoria storica del carciofo, è un grande esperto in materia. Sua figlia Laura, nel loro agriturismo presso l’azienda agricola, tra i vari piatti della tradizione locale propone delle tagliatelle condite con una carbonara di carciofi da paura: da provare assolutamente!

In tutta sincerità, come amo dire in questi casi, ho conosciuto Laura ed Egidio di recente, girando un servizio giornalistico per la TV, così come ho conosciuto uno dei giovani produttori che crede fermamente nella rinascita definitiva del carciofo del sorì. E’ Stefano Scavino un laureato in architettura che a Costigliole d’Asti lavora nella sua azienda agricola e dove ha dato vita ad un bella carciofaia che produce capolini di altissima qualità: un giovane che preferisce la vita agricola rispetto a quella d’architetto. A noi non resta che augurare a tutti loro buon lavoro e fare come Carlotta: mangiarne tanti!

 

Fabrizio Salce

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