Oltre ottanta opere ripercorrono la grande storia del Novecento attraverso lo sguardo del leggendario fotoreporter
In mostra anche gli scatti inediti sul reportage in Unione Sovietica realizzato dal fondatore di Magnum con John Steinbeck nel 1947 a cura di Sara Rizzo in collaborazione con Magnum Photos Robert Capa (1913-1954) ha soltanto 25 anni quando viene definito dal “Picture Post” «il più grande fotoreporter di guerra del mondo»: è la nascita di una leggenda e di un modo completamente nuovo di fare fotogiornalismo.
In occasione dei 110 anni dalla nascita di Robert Capa (22 ottobre 1913) il Mudec rende omaggio al grande fotografo ungherese con una mostra personale che ripercorre i principali reportage di guerra e di viaggio che Capa realizzò durante vent’anni di carriera, anni che coincisero con i momenti cruciali della storia del Novecento. La mostra “Robert Capa. Nella Storia”, presso Mudec Photo dall’11 novembre 2022 al 19 marzo 2023, è prodotta da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE, promossa dal Comune di Milano-Cultura e curata da Sara Rizzo.
Lo spazio Mudec Photo - totalmente dedicato alla fotografia d’autore - giunge ormai alla sua sesta mostra monografica e in poco meno di quattro anni ha raccontato al pubblico milanese i giganti della fotografia del Novecento: Steve McCurry, Elliott Erwitt, Tina Modotti, Henri Cartier-Bresson.
L’impegno di Mudec Photo prosegue dunque per l’autunno 2022 con una retrospettiva sul lavoro – lungo una vita – di un artista che ha fatto la storia fotografica del Novecento, Robert Capa. Realizzato grazie alla collaborazione con l’agenzia Magnum Photos, la mostra - curata appositamente per il Mudec - riunisce un eccezionale corpus di fotografie: oltre 80 stampe fotografiche, alcune delle quali mai esposte prima in una mostra italiana, accompagnate da alcuni documenti d’epoca provenienti dalla collezione di Magnum. “Robert Capa. Nella Storia”, che vuole porsi come apripista delle celebrazioni per i 110 anni dalla nascita del leggendario fotoreporter, racconta la Storia del Novecento, quella con la S maiuscola, Attraverso i suoi ritratti in bianco e nero e i suoi reportage di guerra e di viaggio, l’obiettivo del fotografo fece conoscere al mondo non solo gli orrori e le miserie dei tanti conflitti armati che caratterizzarono il secolo scorso e i volti degli uomini e delle donne che fecero la Storia, ma anche la vita quotidiana fatta di piccoli momenti di gioia e voglia di riscatto, di presente e futuro, di realtà e di sogni delle persone comuni, indifferentemente da una parte all’altra del globo.
Attraverso sette sezioni e con un percorso diacronico vengono raccontati i più importanti reportage in bianco e nero realizzati da Robert Capa, dagli esordi a Berlino e Parigi (1932- 1936) alla guerra civile spagnola (1936-1939); dall’invasione giapponese in Cina (1938) alla seconda guerra mondiale (1941-1945); dal reportage di viaggio in Unione Sovietica (1947) a quello sulla nascita di Israele (1948-1950), fino all’ultimo incarico come fotografo di guerra in Indocina (1954), dove troverà la morte. Robert Capa non ha inventato soltanto sé stesso, ma anche la figura del fotogiornalista come testimone che rischia la vita per essere sempre al centro dell’azione, dalle trincee spagnole allo sbarco in Normandia. Nei suoi vent’anni di carriera ha raccontato la storia restando sempre fedele al suo celebre aforisma: “se le tue foto non sono abbastanza buone, vuol dire che non eri abbastanza vicino”.
L’azione - con tutta la sua dinamicità e forza propulsiva - spicca tra gli scatti come un fil rouge, che si dipana anche nei ritratti presenti in mostra, volutamente pochi e scelti per ricordare al pubblico i volti della Storia - come quello di Trotsky ardente oratore – o della sua storia personale, come quello di Picasso, fotografato nel suo studio di Parigi dove era rimasto anche durante l’occupazione, e dell’amico Steinbeck con cui intraprese il viaggio oltre la cortina di ferro, nel 1947. Capa credeva fermamente che la fotografia fosse una vera e propria arma per combattere i totalitarismi che dilagavano in Europa e nel mondo intero, mostrando dei conflitti non solo il volto eroico ma anche quello umano. Per Robert Capa il celebre “istante decisivo” è una questione d’istinto: spesso nel suo lavoro la tecnica e la composizione lasciano spazio a scatti imperfetti, fuori fuoco, ma intrisi di grande umanità grazie all’empatia creata con i soggetti fotografati, in particolare la gente comune, in cui spesso riconosce il suo riflesso.
LA MOSTRA. ESORDI, GUERRA CIVILE SPAGNOLA, SECONDA GUERRA SINO-GIAPPONESE.
Quello di Robert Capa è in realtà uno pseudonimo. All’anagrafe il suo vero nome è Endre Ernő Friedmann, ebreo ungherese naturalizzato americano, nato nel 1913 a Budapest e costretto a lasciare a 17 anni l’Ungheria, suo paese natale, a causa delle sue simpatie socialiste. Nel 1931 Endre arriva a Berlino dove si fa strada alla storica agenzia Dephot, che l’anno seguente lo invia a Copenaghen a una conferenza di Lev Trotsky. L’accesso è vietato ai fotografi ma Endre riesce ad entrare e a scattare, grazie alla piccola Leica che tiene in tasca: un servizio che finisce in prima pagina. Va ricordato che il fotogiornalismo nasce in questi anni non solo per il grande sviluppo della stampa illustrata, ma anche grazie ai progressi tecnici in campo fotografico: attrezzature sempre più portatili rendono finalmente possibile seguire il centro dell’azione. Capa stesso utilizzerà durante tutti i suoi reportage soprattutto macchine compatte come Leica, Rollei, Contax a seconda del tipo di foto che vuole ottenere e del mercato cui è destinata, come viene spiegato nella sezione introduttiva della mostra. Con l’ascesa del nazismo in Germania, Endre si sposta alla fine del 1933 a Parigi, la città del suo destino. Qui conosce Henri Cartier-Bresson e David “Chim” Seymour, con cui fonderà nel 1947 l’agenzia Magnum Photos, e Gerda Taro, sua compagna di vita e lavoro, assieme alla quale creerà nel 1936 il personaggio di Robert Capa, famoso fotografo americano in cui si identificherà totalmente per poter vendere meglio i propri scatti. Oltre a fotografare le manifestazioni legate al Fronte Popolare in Francia, da subito Capa è attratto dalla guerra civile di Spagna, di cui documenterà vari fronti insieme alla compagna Gerda Taro: lo testimoniano alcune immagini su identico tema scattate da entrambi i fotografi e presenti negli archivi di entrambi, come ad esempio “Miliziani repubblicani”. Documenterà tutto il periodo, fino alla caduta della repubblica e al ritiro delle Brigate Internazionali. Nel settembre del 1936 scatta “Morte di un miliziano lealista”, l’immagine che lo consacra come «il più grande fotoreporter di guerra del mondo»; così infatti lo definisce il “Picture Post” nel pubblicare un suo reportage nel 1937. Nonostante sia stata in anni più recenti al centro di una querelle attorno alla sua autenticità, l’immagine conserva intatta la potenza di un’icona internazionale contro la brutalità della guerra. Gerda Taro muore sul fronte spagnolo il 26 luglio del 1937. L’evento tragico segna profondamente Capa, e l’anno successivo il fotografo si allontana dall’Europa trascorrendo otto mesi in Cina per documentare l’invasione giapponese e la resistenza del Kuomintang guidato da Chiang Kai-shek. Ma contemporaneamente racconta attraverso il suo obiettivo anche la vita dei civili nella capitale provvisoria Hankou, divisa fra la paura degli attacchi aerei e momenti di poesia. Nasce così il capolavoro fotografico “Bambini giocano nella neve”, dal sapore magico e simile a quello dei “pretini” che l’artista Mario Giacomelli immortalerà in Italia più di vent’anni dopo. Questo e altri scatti in mostra testimoniano la costante attenzione di Capa verso il mondo dell’infanzia.
SECONDA GUERRA MONDIALE. Dal 1941 al 1945 Robert Capa segue alcuni dei momenti più memorabili della Seconda Guerra Mondiale, che ripercorrerà poi nel suo romanzo “Slightly out of Focus”, uscito nel 1947. Dopo un reportage dedicato alla vita nella Londra devastata dal Blitz, Capa si reca sul fronte nordafricano e da lì partecipa alla conquista alleata della Sicilia. Vicino a Troina scatta “Contadino siciliano indica a un ufficiale americano la direzione presa dai tedeschi”, presente in mostra, risalendo poi la penisola insieme alle truppe fino a Napoli, documentandone le quattro giornate. In occasione del D-Day, nel 1944, Capa si unisce alla prima ondata di truppe che sbarcano a “Omaha Beach”: delle circa cento foto che scatta rischiando la vita, soltanto 11 sopravvivono a un maldestro operatore di camera oscura di “Time”. Di queste, tre fotografie sono presenti in mostra. Prosegue il viaggio, accompagnando le truppe americane dalla Normandia fino alla liberazione di Parigi: una serie di foto documenta i momenti di gioia funestati dalla presenza di alcuni cecchini tedeschi. Per l’ultimo atto della “sua” guerra nel 1945 si fa paracadutare insieme agli americani oltre il Reno e li accompagna nell’avanzata in Germania, fino a Lipsia; visiterà quel che resta di Berlino soltanto in estate, lasciandoci alcuni scorci emblematici, come “Persone su una strada costeggiata da rovine di edifici”.
UNIONE SOVIETICA. Nell’estate del 1947 Robert Capa riesce nell’impresa, quasi impossibile per un fotografo occidentale, di oltrepassare la cortina di ferro e visitare l’Unione Sovietica post-bellica: accompagna l’amico John Steinbeck, scrittore considerato conforme al realismo socialista, ed entrambi dichiarano di volersi occupare del popolo russo, senza emettere giudizi. Durante la loro permanenza, i due visitano alcuni luoghi emblematici: in Russia la città di Mosca, che si appresta a festeggiare gli 800 anni dalla propria fondazione, e le rovine di Stalingrado, epicentro della battaglia vinta nel 1943 dall’Armata Rossa contro le forze dell’Asse. In Ucraina, quel che resta della città di Kiev, a lungo occupata dai tedeschi, e in Georgia la città vecchia di Tbilisi. Non mancano le visite ad alcuni kolchoz, le fattorie collettive. Questa sezione - la più ampia della mostra e che presenta al pubblico una quindicina di scatti mai esposti prima in una mostra italiana - testimonia tutte le tappe del viaggio, anche attraverso scatti emblematici come “Donne che camminano in un panorama deserto” o “Guardando i fuochi d'artificio durante le celebrazioni per l'ottocentesimo anniversario della fondazione di Mosca”. Gli itinerari di Capa e Steinbeck sono gestiti dal VOKS, la società per le relazioni culturali con i paesi stranieri, che controlla costantemente i due, cercando di fornire loro un’immagine dell’Unione Sovietica conforme alla propaganda stalinista. A proposito di questo viaggio lo stesso Capa dichiara in un’intervista radio: “più vai a Est, con una macchina fotografica, meno piaci alla gente per molte, moltissime ragioni: e la maggiore parte non sono buone”. Oltre alle difficoltà causate dalla diffidenza della popolazione, in più di un’occasione a Capa viene impedito di scattare fotografie e, al termine del viaggio, è costretto a sottoporre gli oltre 4.000 negativi impressi al visto della censura. Anche nei momenti storici di maggiore controllo politico gli artisti sono riusciti a raccontare la realtà, interpretandola attraverso i loro occhi. Anche in questo caso, dunque, e nonostante i veti, le immagini rimaste (e arrivate fino a noi) non furono poche, e a un occhio del visitatore attento ai particolari raccontano comunque di chiese e palazzi in rovina, di moscoviti dai visi seri, di contadine che ballano allegramente sì, ma senza i loro uomini perché andati al fronte, di ucraini animati dalla voglia di ricostruire e di sguardi dubbiosi verso il futuro, rivelandosi oggi di estrema attualità. Alcuni scatti di questo reportage di viaggio sono esposti qui al Mudec e in Italia per la prima volta. Le fotografie di Capa, in bianco e nero e a colori, vengono pubblicate su Life nel dicembre 1947 (una copia è presente in mostra) e su Ladies’ Home Journal nel febbraio successivo, oltre a comparire in Diario russo di Steinbeck, sempre nel 1948, come testimonia l’edizione esposta. Questo è fra i primi reportage che Capa vende alle riviste conservando per sé i diritti d’autore, come prevedeva lo statuto della Magnum, fondata pochi mesi prima.
ISRAELE. Nel 1948 Robert Capa è a Tel Aviv per testimoniare la nascita dello stato d’Israele e, di conseguenza, lo scoppio del primo conflitto arabo-israeliano. Nel corso dei due anni successivi si recherà più volte in Israele, insieme allo scrittore Irwin Shaw, con cui pubblicherà il libro “Report on Israel” (1950, in mostra), testimoniando la realtà dei campi profughi e la costruzione di una nuova nazione di cui sentiva in qualche modo di far parte.
GUERRA IN INDOCINA. Robert Capa si trova in Giappone quando Life gli chiede di sostituire un collega in Indocina francese per seguire la fine della guerra fra la Francia e i Viet Minh. Il 25 maggio sta partecipando a una missione sul delta del Fiume Rosso quando per seguire un gruppo di soldati che attraversano un campo (il soggetto della sua ultima foto, che chiude la mostra), calpesta una mina antiuomo e muore dopo poche ore: è di fatto il primo corrispondente americano a cadere in Vietnam. Il fotografo di guerra che, in uno dei suoi classici understatement, si augurava di restare disoccupato per il resto della vita, lascia un’eredità pesante e leggendaria e una sua personale definizione della fotografia: “la foto è una sezione di un fatto, che mostra la realtà vera a chi non era presente molto più di quanto possa fare l’intera scena”. Questa mostra, curata da Sara Rizzo, storica dell’arte e conservatore del Mudec, è realizzata in collaborazione con l’agenzia Magnum Photos. All’interno del bookshop della mostra è disponibile il volume “Robert Capa. Nella Storia”, edito da 24 ORE Cultura.
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