IL COVID FRENA L’EXPORT DI VINO. FRANCIA PAGA 1,7 MILIARDI DI EURO, ITALIA ‘SOLO’ 300 MILIONI
PEGGIO GLI SPARKLING DEI FERMI, NON SUCCEDEVA DALLA CRISI ECONOMICA DEL 2009
Verona, 23 novembre 2020
– La pandemia condiziona il commercio mondiale di vino, ma anche qui
l’impatto varia a seconda dei casi. Per l’Italia, che nel 2020 chiuderà
il proprio export con un -4,6% a valore (6,1 miliardi di euro) sull’anno
precedente, gli effetti saranno complessivamente più leggeri rispetto
al trend globale (-10,5%) e ancora di più sul principale player del
settore, la Francia, costretta a rinunciare al 17,9% delle proprie
esportazioni.
Un quadro confortante se si considera l’aumento delle quote di mercato
guadagnate dal vigneto Italia; allarmante se si considera l’asimmetria
di un dato generale che cela forti ribassi in diverse fasce, a partire
dalle piccole imprese ad alto tasso qualitativo. È il flash dell’analisi
a cura dell’Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor ‘Focus mercati -
consumi e previsioni import 2020’ presentata oggi al wine2wine di
Veronafiere, nel corso dell’evento di confronto della filiera con i
vertici delle associazioni di rappresentanza e l’Ice.
In termini assoluti, la contrazione del valore delle importazioni
mondiali di vino stimata (su base doganale) sarà di oltre 3 miliardi di
euro rispetto al 2019, soprattutto per effetto delle mancate vendite per
oltre 1,7 miliardi di euro del suo market leader, la Francia. Il
forecast sull’Italia si ferma invece a -300 milioni di euro, complice
anche il boom (+15%) delle esportazioni nel primo bimestre dell’anno,
che ha attenuato il passivo.
Per il direttore generale di Veronafiere, Giovanni Mantovani: «Il
dato generale sulle stime previsionali dimostra come l’Italia sia stata
in grado di opporre anticorpi efficaci alla crisi. Il rapporto qualità-prezzo,
una più variegata diversificazione dei canali di vendita e lo scampato
pericolo dei dazi aggiuntivi negli Stati Uniti hanno consentito di
ridurre le perdite all’estero, ma il rovescio della medaglia è fatto di
tante piccole e medie aziende del vino che, al contrario delle altre,
hanno perso i propri riferimenti commerciali – in particolare
dell’horeca - e stanno pagando uno scotto molto più rilevante della
media. È questo segmento, decisivo per il nostro made in Italy, che
occorrerà salvaguardare sin da subito».
ITALIA, TIPOLOGIE A CONFRONTO: SPARKLING PEGGIO DEI FERMI DOPO 11 ANNI
Tengono, e talvolta incrementano, le aziende italiane maggiormente
presenti sui canali di vendita della Gdo, spesso imprese di dimensioni
medio grandi con numeri importanti. Calano invece, anche oltre il 50%,
le medio-piccole orientate sui canali retail e nell’horeca. E gli
sparkling, (-5,7%) simbolo del fuori casa e della festa, fanno peggio
dei fermi (-4,5%) per la prima volta dopo 11 anni (2009). Giù il
prezzo medio all’export dell’intera categoria di oltre il 9%, mentre i
fermi perdono il 2%.
Per il responsabile dell’Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor, Denis Pantini: «Uno dei principali rischi che derivano dalla riduzione delle importazioni nei top mercati di sbocco, unito alla diminuzione
della domanda sul mercato nazionale, è quello di un decremento dei
prezzi di vendita dei nostri vini che vanificherebbe tutti gli sforzi
messi in campo in questi anni per un miglior posizionamento di prezzo
delle nostre produzioni, con effetti a catena su tutte le imprese e
denominazioni. Un rischio concreto, se si pensa che quasi 2 aziende
intervistate su 10 nell’indagine qualitativa hanno dichiarato che per
contrastare la riduzione degli acquisti e delle forniture stanno
pensando a sconti/promozioni per attirare la clientela».
I TREND PER PAESE
Il -4,6% a valore per il vino italiano è frutto delle stime
previsionali sui principali mercati del commercio mondiale del vino,
oltre ai focus realizzati in alcuni tra i principali Paesi buyer
analizzati (Usa, Germania, Uk, Cina, Giappone, Russia e Australia).
Il Belpaese riuscirà a contenere le perdite e a incrementare
sensibilmente le quote di mercato nei suoi 2 principali mercati chiave -
gli Stati Uniti (-2% a valore, a 1,7 miliardi di euro) e la Germania
(-3%, a 918 miliardi di euro). Un risultato che rappresenta una mezza
vittoria se si considera che il calo generale delle importazioni
statunitensi (-10,1%, con la Francia a -23%) è di 5 volte superiore al
dato italiano, mentre per la Germania la variazione media dell’import è
del -7,7%. Stop significativo invece nel Regno Unito, sempre più lontano
dalle forniture europee, con i produttori di Italia e Francia che
perderanno rispettivamente il 12,1% e il 16,7%, a fronte di una
variazione positiva della domanda sul ‘Nuovo mondo’ di quasi il 5%.
Prosegue la contrazione del mercato cinese (-32% sul prodotto Italia,
-29% la variazione totale) e di quello giapponese, che vira in negativo
(-15,1%) dopo l’exploit del 2019, così come il Canada (-7,7%). Giù anche
la domanda australiana (-3,8%) e russa, che con un valore previsto di
279 milioni di euro segnerà un calo per il vino tricolore del 7,5%. La
performance italiana risulta infine generalmente meno deficitaria
rispetto ai competitor grazie alla tenuta di alcune piazze di peso, come
la Svizzera (+4,3%) e la Svezia (+2,2%) tra le pochissime a presentare
luce verde.
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