Chiariamo
subito: siamo tutti debitori a Luigi
Veronelli figura leggendaria ed uomo autentico. Lo siamo
all’enogastronomo antesignano e moderno insieme, al giornalista
polemico, al fine scrittore, all’editore coraggioso, al precursore
conduttore televisivo del settore, oltre che al filosofo ed anarchico
sui generis. Con questo servizio speciale ricordiamo i 15 anni dalla
scomparsa di Gino (così per gli amici veri), di quel tardo
pomeriggio di lunedì 29 novembre a Bergamo, all'età di 78 anni, lui
milanese appassionato ma cittadino del mondo. Ho vissuto quasi
quindici anni a fianco dell’uomo Veronelli nel pieno degli anni più
entusiasmanti, quelli della sua “L’Etichetta” e delle sue
millanta Guide, in un ruolo che mi consentiva, soprattutto per la sua
amicizia e fiducia, d’intervenire e conoscere ogni minimo
particolare della sua vita professionale ed umana.
Tra
aspetti di marketing e redazionali, viaggiando ovunque con lui (guai
non disporre di automobili comode e sicure ove amava distendersi e
riposare mentre ci scambiavamo idee, suggestioni e pensieri d’ogni
genere. Da soli piuttosto che con le rispettive compagne di vita, tra
confidenze personali, familiari e professionali d’ogni genere.
Canzonandomi talvolta, quando dinanzi ad interlocutori insistenti
driblava dicendo “parlate con Bruno, il mio padrone..”, lui che
di padroni non ne ha mai avuto, anzi li spediva al diavolo per il suo
istinto di “libertà vo cercando”. Sorrido amabilmente quando
leggo od ascolto di gente che lo cita, mette immagini con lui o
qualche epistola ed accenna a comuni pensieri, volendo sottolineare
che “conosceva” Veronelli.., pur di poterlo citare, dimenticando
che la gentilezza di Gino era tale che quasi mai disdegnava cortesia
e disponibilità all’ascolto ed al dialogo. Proverbiale la sua
“Corrispondenza pubblica e violata” a cui dedicava ore ed ore,
anche quando lontano dalla sua dimora bergamasca di via Sudorno o
quando dominava con la sua presenza gli uffici de “L’Etichetta”
in via Barozzi nel pieno centro di Milano. Di lettere e messaggi ne
riceveva millanta, tutti singolarmente esaminati e spesso anche di
notte, sino a condizionare la sua vista usando quasi sempre la sua
scrittura manuale volendo rispondere a tutti, prima di passarli alla
sua segreteria od a chi, tra noi, doveva gestirli per diversi motivi.
Negli ultimi suoi anni di vita l’attività fisica fu forzatamente
ridotta nei viaggi condivisi ma non nella tenace linearità dei suoi
interventi giornalistici o da enogastronomo, rallentando pertanto la
nostra frequentazione. E quando la sera del 29 novembre fui raggiunto
dalla notizia che ci aveva lasciato, la mia vita ebbe un sussulto che
da allora mi accompagna con triste ma immensa dolcezza verso un uomo
che, per tanti versi, era stato anche un rigoroso padre (c’erano
vent’anni di differenza) rispetto a quello vero che avevo perso
quando ne avevo solo 15. Seguì un mio saluto, inviato con fax, ma
scritto a mano come a lui piaceva, in attesa del saluto che avvenne
l’1 dicembre al Cimitero Monumentale di Bergamo tra tanta gente
giunta da diverse terre, quella che a lui piaceva “camminare”! Di
libri ed articoli su Gino Veronelli ne sono usciti a iosa, ma
esemplare è “Luigi Veronelli” (Giunti e Slow Food editori) del
genero e suo curatore personale Gian Luigi Rota e dell’autore
teatrale e televisivo Nichi Stefi, persone con cui Gino ha avuto un
profondo legame personale e professionale. Sovente il resto è noia
autocelebrativa di chi, usando abilmente Gino ormai scomparso, ha
voluto o vuole farsi pubblicità autoreferenziale, come la quantità
di allievi veri o presunti che non si contano.. Al pari invece
dell’immensa produzione giornalistica, editoriale e d’interventi
di Veronelli che soprattutto nelle sue riviste (quelle dirette od
edite da lui stesso, in primis “L’Etichetta” ed “EV”) ha
saputo offrire spunti, meditazioni e lezioni intorno a Terra e Tavole
prima di chiunque altro, od appena dopo (vedi Paolo Monelli, Mario
Soldati, Gianni Brera) ma con una completezza unica e personalissima
insieme ad un’eredità
linguistica e con una continuità lessicografica e interpretativa.
Perché Gino non era solo uno scrittore di vino, ma un intellettuale
a tutti gli effetti, uomo coltissimo, grande polemista, pieno di
coraggio e di personalità. Un vero Maestro riconosciuto da tutti,
salvo qualche mediocre polemista della domenica o food blogger che
l’ignorano o snobbano per totale ignoranza. Ed al di là dei suoi
primi libri e collane come i primissimi sul vino: “I Vini d’Italia”
del 1961 (Canesi Editore Roma), i Cataloghi Bolaffi sui vini e le
pioniere “Guide all’Italia Piacevole” dal 1968 (Garzanti) e poi
“Le Cose Buone di Veronelli”, il “Repertorio e Dizionario dei
Vini” e tanto altro ancora. Abbiamo pertanto scelto solo alcuni
pezzi dai suoi scritti, volutamente di anni distanti tra loro poiché
ancora oggi risuonano attualissimi proprio in quanto universali nella
filosofia d’un uomo eccezionale che, tra l’altro, soleva
definirsi con semplicità “Non sono un maestro, sono un notaro”
sottolineando che “Anarchia per me è la libertà dell’altro”!
Non dimenticando episodi chiave e simbolo di grande libertà, come
quando negli anni Ottanta, Veronelli viene nuovamente arrestato e
condannato a sei mesi per aver indotto alla rivolta i contadini
piemontesi, mentre vent’anni prima, nella primavera del 1961,
l’ultima volta di un libro messo pubblicamente al rogo in Italia,
nel cortile della Questura di Varese a bruciare fu “Storielle,
racconti e raccontini“, opera del Marchese De Sade, pubblicato
dalla sua piccola casa editrice nel 1957. In quegli stessi anni, tra
metà anni ’50 sino ai primi del ’60 Veronelli realizzò, anche
come editore, la rivista “Il Gastronomo”, che ebbe un inatteso
successo e quale primo documento ufficiale della sua esaltante, quasi
cinquantenaria carriera di giornalista e scrittore, esperto esemplare
ed opinion leader in “cose buone”. Scrivendo, tra l’altro, nel
suo primo editoriale: “Questa nuova rivista si rivolge ai
gastronomi, ai cuochi e alle cuoche italiani, con l’intenzione di
trattare e risolvere i problemi dell’arte gastronomica, di
richiedere il rinnovamento dei nostri ristoranti perché si adeguino
alle raffinate e pur semplici esigenze di una clientela educata
(rinnovamento che ha dato in Francia e in altri paesi, risultati
anche economicamente stupefacenti), e di ricordare alle gentili
lettrici le purtroppo dimenticate ricette dei nostri vecchi e l’amore
per la cucina… Solo
la gente volgare giudica la gastronomia una disciplina volgare e la
crede rivolta all’unica soddisfazione dell’appetito. Il mangiare
ha tale funzione e non la gastronomia… Il
vero signore - e può esserlo il più modesto degli operai e non
esserlo il più titolato dei nobili - si avvicina alla tavola per
soddisfare il bisogno dettato dalla nuova natura, ma, come in ogni
altro momento della sua vita, è partecipe e consapevole di quello
che fa, desidera farlo bene e trarne ogni piacere…La gastronomia si
rivolge allo spirito di chi mangia perché sia indotto a raccogliere
ed esaltare le sensazioni del gusto. Essa è l’arte del gusto come
la musica è l’arte dell’udito, come la pittura, scultura,
architettura sono le arti della vista. Così essa ha i suoi artefici,
i cuochi, ed i suoi critici, i buongustai, e come ogni arte richiede
ai suoi seguaci qualità elettive e meditato studio…
La nostra rivista vuole
aiutare i gastronomi e i cuochi a riportare la cucina italiana allo
splendore di un tempo e si propone di iniziare un colloquio su tale
aspetto, non il minore, del costume.”. Vent’anni dopo, agli inizi
degli anni ’70, grazie ad uno scritto mai pubblicato su Panorama
(con cui allora Veronelli collaborava, come poi avvenne con
L’Espresso e tanti altre riviste e giornali) e ritrovato da
G.A.Rota, ecco cosa scriveva sul cibo, come ancora oggi viene
sottolineato per essere fedeli alla terra anche a tavola ed in
cantina : “Sino a ier l’altro si ostentava massima sicurezza,
nessun dubbio: utopia la difesa delle abitudini alimentari del
passato; l’industria era il bene, il giusto, l’auspicabile; si
andava verso il cibo chimico, addirittura la santa pillola, il
prodotto unico, completo e razionale, quindi “industriale”, che
avrebbe risolto magicamente ogni problema; e si brindava all’avvento
della società del benessere… All’improvviso
si ci è accorti: non del benessere, si correva alla società del
malessere, con pericoli via via più scoperti di autodistruzione. La
voce dei pochi, ed io tra quelli, che predicavano la necessità di
rimanere fedeli alla terra anche a tavola e in cantina L’esigenza
proclamata dei buoni cibi e dei buoni vini non era e non è una moda,
non uno dei vari aspetti della conservazione o il retorico sconforto
per il tempo passato degli accademici di cucina. Tutt’altro: è
aspetto, certo non ultimo, della difesa giovane di quei valori umani
che industrie avide e incontrollate vogliono distruggere e annullare.
Giorno per giorno si precisa la volontà comune di una natura pulita:
mari, boschi, campi, monti puliti, capaci di dare cibi puliti…
Abbiamo bisogno di meditazione
e di equilibrio: il “ritorno contadino” non è rifiuto della
tecnica; è l’invito – anche e soprattutto nel nostro campo – a
sottomettere sempre e comunque la tecnica al rispetto delle esigenze
umane.” Idee chiare e nette, una filosofia non solo di vita ma
quale strada da percorrere per tutto il mondo agroalimentare ed
enogastronomico italiano. Ed ecco che nell’autunno 1983 nasce ed
esce L’Etichetta, trimestrale (e poi bimestrale) che per
originalità, impegno e bellezza sconvolgerà l’editoria
enogastronomica italiana, con Direttore (sino al 1991) Luigi
Veronelli.
Un’idea
nata per descrivere
la giornata del “giovin signore” (di pariniana memoria) che
ricerca per sè il meglio in qualsiasi momento e gesto della stessa.
Con una descrizione, come lo stesso Veronelli precisa, che ha, per
ogni argomento, una doppia narrazione: un pezzo teorico, a cura di
una grande firma o di un personaggio noto capace di provocare
emozione; un pezzo pratico, a cura di un esperto, un giornalista
specializzato, capace di indirizzare nella scelta dei migliori
prodotti sul mercato. Il tutto con articoli corredati da immagini
affidate ai più grandi fotografi, italiani e/o esteri che
interpretano individualmente ogni numero, ed un’impaginazione e
grafica di grandi eleganza e modernità. L’Etichetta”, dichiarerà
Veronelli, “nasce col proposito di accompagnare e sottolineare il
crescere dell’esigenza qualitativa. “Una rivista, numero via
numero, che ha accompagna il lettore nella scelta degli oggetti, dei
cibi e dei vini che servono alla sua vita materiale. Il mangiare e il
bere corrispondono a precise necessità.” Un format nuovo e
vincente, non solo in Italia, anche in Francia e negli Stati Uniti,
che descriverà di persona, sottolinea Veronelli, di: un uomo dato
alla gola, ed a tutti i piaceri sensuali e mondani - provati da me,
goduti da me, scritti da me - ti racconterò la serie lunga e
provocante dei cibi, dei vini, delle acqueviti e degli accessori di
tavola.”
Il
periodo in cui, nei tanti viaggi comuni in Italia ed all’estero, e
durante le giornate del Vinitaly veronese, s’instaurano rapporti
preferenziali anche con
millanta persone, sia quelli fugaci, ma con individui che poi diranno
d’avere intessuto rapporti importanti con Veronelli (falsi e
bugiardi, costoro..), e tanti altri e veri personaggi (pur non
famosi) che anche se con incontri fugaci per il poco tempo insieme,
in realtà sono stati un riferimento vero. Come nelle giornate tra
Veneto e Friuli di “Terra Madre” quella originale nella sua
nascita (e non quella di Slow Food venuta dopo.., ma prima) tra
aprile e maggio 1992, come anche da me raccontato su “L’Etichetta”
grazie alla speciale collaborazione con l’Associazione per la
qualità “L’Altratavola”. Giungendo poi agli ultimi anni di
Veronelli ove, con
straordinaria vitalità, Gino crea e sviluppa, insieme ai “giovani
estremi” dei centri sociali, iniziative come “Terra e
Libertà/Critical Wine”, ed elabora proposte rivoluzionarie quali
il Prezzo Sorgente,. Ma soprattutto dando vita all’autocertificazione
delle De.Co., le Denominazioni Comunali che permettono ad ogni
Sindaco di dare valore, non come marchio di qualità, ma quale forte
identità territoriale e storica di specifici prodotti, piatti o
saperi, proseguendo a dare battaglia all’industria alimentare
quando invadente ed equivoca come nella denuncia delle frodi
dell’olio e dunque sempre a fianco dei “suoi” contadini e
vignaioli del privilegio. E proprio ai giovani si rivolge:
“Pensateci ragazzi. L’abbandono delle città, degli stabilimenti
e il ritorno alla terra e al suo lavoro in condizioni ambientali, a
volte difficili, a volte paradisiache, sempre di fronte al mare, alla
campagna, ai boschi, ai monti. Con una remunerazione individuale
assai alta, data l’eccellenza dei prodotti terragni, ottenuti con
mezzi artigianali, se non addirittura manuali…(poiché, ndr) Nei
fatti, ogni uomo, in ogni parte del mondo, con leggi giuste, potrebbe
vivere con il lavoro della propria terra. Nella nostra patria - la
patria è ciò che si conosce e si capisce - i contadini, sia piccoli
proprietari, sia braccianti, potrebbero essere, per il favore del
terreno e del clima, addirittura dei privilegiati”. Sono ormai 15
anni che Luigi Veronelli ci ha lasciato, ed oggi la sua “filosofia”
è espressa in particolare con le iniziative del Seminario
Permanente Luigi Veronelli di Bergamo, un'associazione senza fini di
lucro intitolato al massimo degustatore e critico gastronomico del
Novecento, che oltre ad eventi pubblica l’annuale “Guida I Vini
di Veronelli”, e con l’Alta Scuola Italiana di Gastronomia Luigi
Veronelli presso la sede della Fondazione Giorgio Cini, sulla
splendida Isola di San Giorgio Maggiore a Venezia, luogo di pensiero
e di formazione dedicato al sapere della terra e della tavola,
ispirata alle rivoluzionarie idee veronelliane. Oltre a quanti, come
noi e pochi altri, quelli sinceri ed autentici interpreti, proseguono
con varie attività cercando, molto modestamente, di onorare la sua
filosofia. Certo è che Gino se ne è andato, e come qualcuno ha
magistralmente scritto: “Lasciandoci un vuoto secco come una
bottiglia senza allegria, un vuoto che pensare di colmare è ridicolo
quanto impossibile. Ma ci ha lasciato la voglia di ribellarci e di
seminare”…Evviva!!!
Bruno
Sganga
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