venerdì 23 febbraio 2018

DAL 1° MARZO 2018 IL PERCORSO ESPOSITIVO DELLA PINACOTECA AMBROSIANA DI MILANO SI ARRICCHISCE DI 72 PLACCHE RITUALI HINDŪ RAFFIGURANTI IL DIVINO GUERRIERO VIRABHADRA


Le opere, recentemente acquisite dall’istituzione milanese grazie alla donazione dei collezionisti milanesi Giuseppe e Paola Berger, costituiscono un patrimonio particolare e unico che non ha eguali presso nessun altro museo del mondo.



La Pinacoteca Ambrosiana di Milano si arricchisce di un importante e unico patrimonio che non ha eguali presso nessun altro museo del mondo.
Dal 1° marzo 2018, l’istituzione milanese espone 72 placche rituali hindū raffiguranti il divino guerriero Virabhadra, recentemente acquisite grazie alla donazione di Giuseppe Berger, Ambrogino d’oro nel 1969, la cui collezione è da considerarsi come la più grande al mondo di opere su questa divinità indiana.
Questa nuova sezione, curata da Marilia Albanese, su una cultura tanto lontana quanto affascinante, risulta pienamente in linea con gli orizzonti culturali aperti dal Cardinale Federico Borromeo, che fin dalla fondazione della Pinacoteca Ambrosiana aveva da subito guardato ben oltre i confini dell’Europa.
“Quella indiana di Virabhadra, l’incarnazione terrifica di Śiva - afferma Giuseppe Berger - è, fra le mie collezioni, quella più ampiamente rappresentata per numero di pezzi e la più diversificata sia per materiali usati che per le diverse epoche di lavorazione, dal XII al XXI secolo”.
“Questa mia collezione - continua Giuseppe Berger - è nata per caso, una cinquantina di anni fa, quando entrai nella bottega dell’amico antiquario Saitz, allora in Porta Romana; qui acquistai a caro prezzo (120.000 lire!) la mia prima placca, ma soprattutto mi innamorai di questo grande guerriero e delle sue affascinanti storie”.
I manufatti esposti, realizzati tra il XVII e il XIX secolo, testimoniano la fede popolare e colta nei confronti di un personaggio del pantheon hindu che si affermò soprattutto durante il regno di Vijayanagara, ultima splendida roccaforte prima della quasi completa conquista musulmana del Paese.
Esteso su buona parte dell’India meridionale e del Deccan, il regno di Vijayanagara visse fra il 1336 e i 1565 due secoli di fasto e potenza celebrati con meraviglia anche da viaggiatori occidentali, fino al suo annientamento a opera della coalizione dei Sultanati limitrofi nella battaglia di Talikota.
Gli oggetti esposti – statuette e soprattutto placche in diversa lega – testimoniano la diffusione del culto nei diversi strati della popolazione, dall’ambito tribale a quello raffinato della cultura classica, con espressioni iconografiche quanto mai differenti, benché l’aderenza alla tradizione e il rifiuto di qualsiasi innovazione impongano canoni ben precisi.
Esposte negli altarini domestici e usate nel cerimoniale dei templi, le placche raccontano una storia antica e trasversale a molte culture: l’incarnarsi della collera divina nel cavaliere vendicatore che sconfigge l’ingiustizia.
L’iniziativa è parte del programma di MuseoCity il progetto promosso dal Comune di Milano che offre ai milanesi e ai visitatori la bellezza e la ricchezza delle collezioni artistiche e storiche di Milano, coinvolgendo oltre 70 sedi tra musei d'arte, case museo, atelier d'artista e musei d'impresa e trasformando la città in un grande museo diffuso con aperture straordinarie, mostre, laboratori per bambini e iniziative speciali.
Per l’occasione, nei giorni 2-3-4 marzo, la Pinacoteca Ambrosiana sarà aperta al pubblico al prezzo speciale di € 10,00 intero e € 7,00 ridotto.
Nelle stesse date si potrà partecipare a visite guidate gratuite con un particolare focus sulla collezione Giuseppe e Paola Berger.
Le visite inizieranno alle ore 15.30 previo accredito alla mail contatti@ambrosiana.it e fino a esaurimento posti. I partecipanti dovranno acquistare il biglietto di ingresso almeno 10 minuti prima dell’inizio della visita.

IL MITO DI VIRABHADRA, IL DIVINO GUERRIERO.
Note a cura di Marilia Albanese
Vīrabhadra, cui fu dedicato lo splendido tempio di Lepakshi nel 1530, è proiezione di Śiva, antichissima e complessa divinità che include in sé aspetti feroci e trasgressivi. Il dio Śiva è uno dei tre aspetti dell’Assoluto ineffabile che si proietta nella Trimurti, la “Triplice Forma” che presiede all’emanazione, conservazione e dissoluzione dell’universo: il dio Brahma che origina il mondo, il dio Visnu che lo protegge e il dio Śiva che lo dissolve alla fine di un ciclo cosmico per preparare l’avvento di un nuovo mondo.
I primi riferimenti mitici a Vīrabhadra si trovano nel Mahābhārata, la “Grande contesa dei Bharata”, oceanico testo epico elaborato tra il IV sec. a.C. e il IV sec. d.C., e vengono ampliati e diversificati nei Purāṇa, le “Antiche Storie”, composti tra il III e il VII d.C., preziosissima fonte per i personaggi e le saghe mitiche.
Dakṣa, sommo sacerdote degli dei, aveva bandito per la figlia Satī un torneo nel quale i pretendenti contendevano per la mano della giovane, che avrebbe scelto il migliore inghirlandandolo, e aveva invitato tutti gli dei tranne Śiva, che disprezzava perché non rispettava le regole di cui Dakṣa, appartenente ai brāhmaṇa, la prima casta depositaria della scienza sacra, era garante. Satī, innamorata di Śiva, aveva lanciato in aria la ghirlanda rivolgendogli un pensiero ardente e il dio era apparso con il segno del prescelto al collo: Dakṣa aveva dovuto suo malgrado acconsentire al matrimonio.
Un giorno Dakṣa aveva indetto una grande cerimonia rituale e di nuovo aveva invitato tutti gli dei, a eccezione di Śiva. Satī si era recata da sola alla celebrazione, ma il padre l’aveva accolta malamente, insultandone lo sposo, e la dea, non potendo rivolgere la propria collera contro il padre, aveva lasciato che questa la consumasse fino a bruciarla. In effetti Satī era un aspetto della Grande Dea e quindi dotata di eccelsi poteri che le consentivano di decidere quando morire o, meglio, ritornare nell’immanifesto.
Percepita la morte di Satī, Śiva, in preda ad una collera mortifera, aveva gettato a terra una ciocca di capelli e da essa era scaturito Vīrabhadra, un essere terribile che toccava il cielo, nero come le nubi monsoniche, con tre occhi fiammeggianti, la chioma che guizzava selvaggia e una ghirlanda di teschi. Śiva gli aveva ordinato di distruggere il sacrificio di Dakṣa e Vīrabhadra l’aveva fatto con estrema ferocia, decapitando Dakṣa, fracassando gli oggetti sacrificali, contaminando le offerte, insultando i sacerdoti e terrorizzando gli dei. Accompagnava Vīrabhadra la terribile Bhadrākālī, una forma di Kālī, altro aspetto della Grande Dea e sempre consorte di Śiva, rappresentata con tre occhi, zanne, una corona di fiamme e quattro, dodici o diciotto braccia e altrettante armi, così feroce da divertirsi a giocare con la testa mozza di Dakṣa.
Gli dei atterriti avevano chiesto aiuto a Brahmā, che aveva loro consigliato di cercare la pace con Śiva invitandolo al sacrificio e che aveva implorato il terribile dio di perdonare Dakṣa e di ripristinargli la testa, cosa che Śiva aveva fatto ponendo sul collo del suocero quella del capro sacrificale.
L’inimicizia fra Dakṣa e Śiva adombra probabilmente un conflitto tra esponenti di diverse concezioni religiose che comunque si risolve con l’accettazione da parte dell’ambito brahmanico di Śiva e dei suoi seguaci. Vīrabhadra rappresenta il potere di discriminazione che tronca l’attaccamento a convenzioni supine e si oppone al dogmatismo e al cieco ritualismo. Fiammeggiante e luminoso come la conoscenza che dissipa l’illusione e la falsità, il divino guerriero invincibile e selvaggio simboleggia l’azione forte che distrugge per trasformare.

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