Sono ormai 25 anni che viaggio per le regioni italiane alla scoperta dei prodotti del paniere agroalimentare del nostro paese. Ne ho abbracciati veramente tanti ma il cesto è talmente colmo che non mi manca mai la fortuna di accarezzarne di nuovi. E’ successo ancora, di recente, durante un viaggio nelle Marche in provincia di Pesaro Urbino. Un prodotto semplice, un frutto della terra, un elemento che un tempo era fonte di grande sostentamento per le popolazioni locali. Poi, con il benessere, venne quasi dimenticato e con grande intelligenza, grazie a qualche anziano che ne ha custodito gelosamente dei semi oggi riscoperto e valorizzato.
Come sempre nei miei veloci scritti mi piace andare con ordine. Fratterosa o Fratte Rosa? Vi parlo di un piccolo borgo di collina situato tra le provincie di Pesaro Urbino e Ancona. Un piccolo spartiacque tra le valli del Metauro e del Cesano posto a circa 400 metri di altezza, da dove i panorami consentono all’occhio di spaziare su vedute bellissime che vanno da Carpegna al Conero per poi passare a San Marino e giungere fino ai Sibillini. Un tempo e anche oggi per tante persone si chiama semplicemente Fratte, un luogo ricco di testimonianze storiche e dove la terra è molto argillosa, quell’argilla che qui viene definita Lubaco, al punto che nei secoli si sviluppò un importante arte: l’arte dei Vasai.
I manufatti di Fratte, le ceramiche, si sono contraddistinte nel tempo proprio come elemento ingegnoso derivante dalla difficoltà delle lavorazioni dei terreni, ed ecco che allora i “Cocci”, come venivano in gergo popolare definiti, i vasi degli artigiani venivano venduti sia nelle Marche che nelle regioni limitrofe. Territori difficili ma al contempo consoni per la coltivazione dei legumi e in particolare di una fava di alta qualità: la fava di Fratte Rosa. Cocci e Fave dunque per un connubio indissolubile perché, si sa, per cucinare bene le fave le pignatte di terra cotta sono ideali.
Non la conoscevo, lo ammetto, e con grande piacere ho incontrato la sua storia e la sua valenza alimentare. Riscoperta si, alla fine degli anni 90, grazie a chi ne ha sempre rispettato i valori di quando nel passato era un ingrediente fondamentale per l’alimentazione locale. Sono bastate poche semenze ben custodite per riaccendere in alcuni agricoltori la voglia di coltivarla ancora. Un fava ottima sia fresca che secca, molita dona una farina pregiata con la quale si realizzano antiche ricette, pani profumati, la tipica Crescia e paste particolarmente gustose. Ma molti sono anche i prodotti derivati che si possono ottenere: fave decorticate, sott’olio, patè, hummus, zuppe.
La fava è un prodotto storico citato dai grandi personaggi del passato, sia in termini positivi che un tantino superstiziosi. Pitagora la riteneva un mezzo per far comunicare i morti con i vivi e questo per via del suo stelo privo di nodi. Cicerone sosteneva che i pitagorici non la consumassero per via del flatulenza che provoca. Plinio il Vecchio pensava che provocasse visioni, ma poi ci fu Publio Ovidio Nasone che la riteneva uno dei più antichi alimenti dell’uomo e Apicio che ne scrisse svariate ricette. Venne poi il Pier dè Crescenzi e Costanzo Felci da Piobbico per arrivare a Castore Durante e Andrea Mattiolo il medico senese con i suoi scritti relativi ai rimedi salutistici a base di fava.
L’elenco dei nomi sarebbe davvero molto lungo, di certo è che oggi la fava di Fratte Rosa è un presidio Slow Food e per la sua produzione è stato individuato un’areale ben delineato e si rispetta un serio disciplinare, mentre l’associazione dei produttori racchiude una decina di realtà produttive.
A parlarmene durante il mio viaggio marchigiano è stato Rodolfo Rosatelli agricoltore/custode ed è dalla sua voce che ho messo a fuoco che il periodo di semina è il mese di ottobre e a Fratte si usa dire: “San Luca la fava nella buca”. Per la raccolta del fresco si attende il mese di maggio e per il secco si va a cavallo tra i mesi di giugno e luglio.
Chi mi legge o ha seguito alcuni miei servizi televisivi sa bene che dopo avere incontrato un prodotto è mia regola gustarlo a tavola. Per la fava di Fratte Rosa non ho certo fatto eccezione, anzi, ho scelto un luogo dove si preparano ancora alcuni piatti della tradizione rigorosamente con le fave e la loro farina.
Mi sono così recato nel Comune di Mondavio presso l’Hotel Ristorante “La Palomba” per incontrare una bravissima chef: Adele Cerisoli. Adele oltre ad occuparsi della cucina e della ricezione turistica con la sua famiglia produce dell’ottimo olio extravergine di oliva. Volevo gustarmi due piatti storici e sono stato subito accontentato. Mi sono stati preparati dei “Tacconi allo Sgagg” e della “Baggiana” due preparazioni che fanno parte delle proposte del locale. I Tacconi sono una pasta preparata veramente come si usava un tempo mescolando la farina di grano e quella di fave. Naturalmente sono fatti a mano e per l’impastano si utilizzano le uova e dell’acqua sia calda che fredda. Si cuociono in acqua bollente e a fine cottura si fanno saltare in padella con aglio e lardo. La curiosità è che il rumore che i Tacconi producono in padella mentre si saltano viene detto: “Sgagg” che nel dialetto locale significa urlare. Si completa il piatto con del guanciale croccante e del pecorino grattugiato. Anche il termine Tacconi ha un suo perché: la loro forma simile al tagliolino ricorda infatti lo scarto della risuolatura dei tacchi delle scarpe.
La Baggiana è invece un ricco contorno preparato con verdure di campo, oppure bietole o cicoria in base alle stagioni, lardo, aglio e le fave lessate, arricchito poi con del lardo. Entrambe le ricette ben si sposano con del vino Sangiovese dei Colli Pesaresi.
Se dunque doveste scegliere la regione Marche per una bella vacanza, e ve lo consiglio spassionatamente, non dimenticate di gustarvi un corroborante piatto di Tacconi e della prelibata Baggiana, Adele sarà ben felice di prepararveli come ha fatto con il goloso del sottoscritto.
Fabrizio Salce
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