mercoledì 7 ottobre 2020

GIOVANNI CERRI Diario della pandemia quaranta disegni durante l’isolamento

 




Mostra organizzata dall'Associazione culturale “Il borgo di Lucio Fontana”

A cura di Massimo Cassani

Testo in catalogo di Simona Bartolena

 

CASA LUCIO FONTANA

Via Lucio Fontana 450

Comabbio (VA)

10 ottobre – 1° novembre 2020

 

Orari di apertura al pubblico:

sabato e domenica dalle ore 10.00 alle 12.30 e dalle ore 16.00 alle 18.30.

Ingresso libero con obbligo di mascherina

 

Per info: info@ilborgodiluciofontana.it - https://www.ilborgodiluciofontana.it/

 


 

La mostra Diario della pandemia, riflessione strettamente personale sulla pandemia e il periodo vissuto in lockdown dell’artista milanese Giovanni Cerri, nasce come un lavoro di preparazione per la personale prevista nel 2021 al Museo Italo Americano di San Francisco.

 

Dei 118 disegni realizzati a penna su carta, per la mostra in programma dal 10 ottobre al 1° novembre alla Casa Lucio Fontana di Comabbio (VA), che per la prima volta apre i suoi spazi a un artista contemporaneo, ne sono stati selezionati 40, che riassumono tutti i temi trattati.

Curata da Massimo Cassani, organizzata dall’Associazione culturale “Il borgo di Lucio Fontana” in collaborazione con il Museo Italo Americano San Francisco e patrocinata dal Comune di Comabbio, l’esposizione si presenta come un “corpus” considerevole di disegni in cui l’autore scrive appunti, annota frasi sparse, segna pensieri, nomi. Un “diario” per immagini che è diventato progetto, anteprima per l’esposizione futura.

 

Giovanni Cerri, classe 1969, sviluppa una ricerca sul problema in sé delle epidemie, facendo coincidere la situazione che vive al presente con la memoria storica di avvenimenti simili già accaduti, cercando fonti, notizie, cenni letterari, immagini dei tempi addietro.

Fissa sensazioni ed emozioni: vuoti e silenzi nella città deserta come mai si era vista, “omaggi” ad opere d’arte anch’esse recluse nei musei serrati, citazioni letterarie che raccontano fatti simili a quelli che si stavano vivendo in quei giorni, in quei mesi.

 

Un dipinto citato, particolarmente simbolico per questi avvenimenti, è il Cristo morto di Andrea Mantegna, conservato nella Pinacoteca di Brera. Oppure, per quel monito di Cristo rivolto alla Maddalena, Noli me tangere (“Non mi toccare”), motivo così spesso ricorrente nella pittura rinascimentale, ecco la citazione di una famosa opera di Correggio. Un vuoto Cenacolo leonardesco lascia aperta la domanda: chi deve arrivare? Chi se ne è già andato? 

In alcuni casi ci sono riferimenti precisi, addirittura databili. Alcune “carte” sono dedicate a Papa Francesco, in quel 27 marzo tetro e piovoso, colto nella solitudine nel grande spazio deserto del sagrato di Piazza San Pietro. Il giorno della benedizione e della preghiera Urbi et Orbi, alla città e al mondo, nell’assenza totale di esseri umani.

In riferimento alle drammatiche immagini dei camion dell’esercito carichi di bare nelle vie di Bergamo, la citazione del grande affresco dell’Oratorio dei Disciplini a Clusone, uno dei massimi esempi dei Trionfi della Morte. Le variazioni sul tema di quel grande dipinto scorrono su alcuni fogli, diventando uno dei “motivi” ricorrenti nel diario.

E poi Alessandro Manzoni, non poteva mancare: I promessi sposi e La colonna infame. Affiorano qui luoghi milanesi come il “Lazzaretto” e la “Vetra de’ Cittadini”, o figure importanti delle pestilenze del 1576 e del 1630 come Carlo e Federigo Borromeo.

Alcuni spunti anche dalle fotografie e dai documenti dell’influenza spagnola del 1918, epidemia che flagellò l’Europa all’indomani del primo conflitto mondiale.

Molti disegni, infine, raccontano l’assenza, il silenzio irreale di quei giorni: un carrello della spesa abbandonato, i parchi giochi senza bambini, le vie deserte, le piante e gli arbusti che crescevano liberamente per la mancata presenza degli uomini “invasori”, la desolazione di spazi inanimati.

 

Dal testo in catalogo di Simona Bartolena: “…Giovanni ha tradotto nella realtà locale delle strade di Milano un immaginario che riguarda, di fatto, l’intero pianeta. Ha raccontato la sua quarantena sovrapponendo in modo convulso e libero scene viste in TV, scorci di città, memorie collettive, speranze, paure, preghiere, cronache… in un mosaico di visioni che ben testimonia la tensione emotiva generata dalla situazione, gli inevitabili riferimenti al passato, i timori per il futuro, la solitudine e il disorientamento del momento. Il tema non era semplice: il rischio della retorica e del “già detto” era dietro l’angolo e bastava davvero poco per cadere nel tranello dell’emozione facile. Per evitarlo Cerri ha tirato fuori il meglio di sé.

Potremmo dire che ha usato le sue armi migliori: il segno spavaldo che ostenta trascuratezza e casualità (ma che nasconde un’attenta ponderazione dei limiti e degli equilibri), la capacità di giocare con la banalità senza mai dargliela vinta, quell’incantevole e disarmante ingenuità che rende i concetti espressi ancor più drammatici e dolorosi e l’abilità nell’intrecciare passato e presente, memoria e visione, cronaca e storia, vero e immaginato. Tra citazioni colte e frame da telegiornale, tra pagine del Manzoni e foto in bianco e nero dell’epidemia di spagnola, Cerri si avventura nei meandri più oscuri delle pandemie di tutti i tempi, esplora la violenza, il terrore, la tragedia, lasciando sullo sfondo - quasi per darci qualche certezza, qualche coordinata famigliare - le strade e i monumenti di Milano…”

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