Il
Comune di Ascoli Piceno celebra la sua antica vocazione manifatturiera
con una grande mostra dedicata alla ceramica: la storia di una florida
tradizione artigianale raccontata attraverso una serie di opere
realizzate nel territorio dalla fine del Trecento fino ai giorni nostri,
includendo anche una selezione di opere di ceramisti ancora attivi nei
territori del cratere del sisma del 2016 tra le province di Ascoli
Piceno, Fermo e Macerata.
Il
Comune di Ascoli Piceno, in collaborazione con Regione Marche, ANCI
Marche, Fondazione Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno e l’Accademia dei
Maiolicari di Ascoli Piceno, presenta la mostra Con il fuoco e con la Terra. L’Arte della maiolica ad Ascoli Piceno dal XV secolo a oggi,
a cura di Giuseppe Matricardi e Stefano Papetti. Patrocinata dal MiBAC,
dall’Associazione Italiana Città della Ceramica e dall’Università degli
Studi di Camerino, l’esposizione, aperta al pubblico dal 13 aprile al 3 novembre 2019 presso il Museo dell’Arte Ceramica di Ascoli Piceno, celebra la produzione ceramica ascolana da fine Trecento ai giorni nostri con un’ampia sezione dedicata ai ceramisti attualmente attivi nel territorio.
Un’antica tradizione legata all’arte della maiolica contraddistingue la città di Ascoli
e il suo territorio dagli altri centri marchigiani attivi nella
produzione ceramica. Seppur contrassegnata da un alternarsi di vicende,
che in alcuni casi ne hanno arrestato momentaneamente lo sviluppo, già dalla fine del XIV secolo la città vanta numerose fabbriche di maiolicai specializzati nella decorazione della ceramica su smalto e questa tradizione, nonostante il terremoto del 2016, perdura fino a oggi.
La tipica ‘rosetta’, i paesaggi rurali, le torri merlate e i richiami
ai dipinti dei pittori attivi in città fin dal quattrocento, come Carlo
Crivelli, sono i soggetti scelti dagli artigiani locali e che nel corso
del tempo hanno contraddistinto le maioliche ascolane.
La mostra, allestita negli ambienti del Convento annesso alla duecentesca Chiesa di San Tommaso, oggi sede del Museo dell’Arte Ceramica, è articolata in cinque sezioni e segue un ordinamento cronologico.
La prima sezione è dedicata ai bacini in maiolica arcaica realizzati ad Ascoli sul finire del Trecento:
si tratta di manufatti decorati con stilizzate figure fitomorfe,
dipinte in ramina, manganese e zaffera, secondo moduli comuni ad altri
centri manifatturieri dell’Italia Centrale che venivano utilizzati per
adornare le facciate delle chiese ascolane, come ancora dimostrano le
ceramiche presenti nelle chiese di Santa Maria delle Donne, San Venanzio
e San Tommaso.
La seconda e la terza sezione illustrano i rapporti intrattenuti dalla città di Ascoli Piceno con il grande centro manifatturiero di Castelli,
attivo nel confinante Regno di Napoli, dove fra Cinque e Seicento si
rifornirono gli Anziani del Comune, i principali monasteri cittadini e
le più importanti famiglie del patriziato: lo dimostrano tazze e
mattonelle dipinte con soggetti legati alla devozione ascolana, come la
bella immagine di Sant’Emidio che battezza Polisia realizzata dalla
bottega dei Grue. Andati perduti i piatti azzurri dipinti con lo stemma
cittadino, ordinati in occasione dei banchetti allestiti presso il
Palazzo Comunale, saranno le maioliche da tavola del servizio Farnese a
rievocare il fasto delle mense rinascimentali ascolane insieme alle
saliere, ai versatoi, ai grandi piatti da parata.
La quarta sezione presenta le ceramiche prodotte ad Ascoli Piceno dalla manifattura allestita nel 1787 dal colto abate di sant’Angelo Magno, Valeriano Malaspina,
con l’intento di porre freno all’importazione di prodotti castellani e
di rivitalizzare la produzione locale: dopo essere stata diretta dal
pesarese Biagio Cacciani e dal napoletano Nicola Giustiniani, la
manifattura venne rilevata dal ceramista Giorgio Paci, la cui famiglia
per tre generazioni monopolizzò il mercato ascolano proponendo nuovi
spunti decorativi, come la caratteristica “rosa ascolana”, i motivi in
rilievo di ispirazione classica e soprattutto la rara produzione di
oggetti marmorizzati con una tecnica assai particolare.
La quinta sezione, incentrata sul Novecento fino ai giorni nostri,
ricostruisce le vicende delle più importanti botteghe attive ad Ascoli
in questo arco temporale: cinquanta anni dopo la chiusura della
manifattura Paci, sarà l’ing. Matricardi a fondare una nuova fabbrica di
maioliche, dapprima servendosi di artisti castellani e dopo di un
grande ceramista pesarese Gian Carlo Polidori che portava ad Ascoli
Piceno una straordinaria esperienza creativa che si esprime nella
originali decorazioni dei grandi piatti con figure di portatrici, vedute
adriatiche, scene in maschera di chiaro spirito dèco, valorizzate
dall’uso di smalti brillanti e dalla ramina in rilievo. La crisi
economica degli anni Trenta colpì duramente l’artigianato artistico
ascolano, ma i lavoranti della ditta Matricardi si organizzarono in modo
autonomo dando vita alla FAMA che proseguì nel solco della tradizione
aperta dal Polidori: oggi sono una ventina i laboratori ceramici attivi in città dove si continua una tradizione decorativa tipica del territorio.
La mostra si chiude nel chiostro medioevale del Museo con una selezione di opere realizzate dai ceramisti attivi oggi
nel territorio di Ascoli Piceno, Fermo e Macerata che, anche se colpiti
duramente dal sisma del 2016, continuano ancora a mantenere viva
quest’antica tradizione locale. L’esposizione è accompagnata da un ricco
palinsesto che prevede laboratori didattici per le scuole, visite nelle
botteghe del territorio e incontri aperti al pubblico e agli operatori
del settore su temi legati alla storia della ceramica marchigiana, al
restauro, alla diagnostica museale e all’archeologia.
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